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Come si calcola la fascia di rispetto di 200 metri dai pozzi la cui acqua è utilizzata per consumo umano ai sensi dell’art. 21 della D.L.vo n. 152/1999.

T.A.R. Sicilia Palermo, Sezione II, 21 giugno 2005, n. 1026 – Per calcolare la fascia di rispetto di 200 metri dai pozzi la cui acqua è utilizzata per consumo umano ai sensi dell’art. 21 della D.L.vo n. 152/1999, occorre tener presente che il raggio di 200 metri va calcolato non dal piano di campagna ma dal punto di captazione delle acque.

 

FATTO

 

Con ricorso notificato il 14 novembre 2003 e depositato il 21 successivo la società Piano Gallina di Cucchiara Pietra Maria, con sede in Montelepre, ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, con cui le è stata rigettata la comunicazione di inizio della attività di recupero ambientale dell’ex cava sita in Carini, c/da Serro Pelato, e le è stato fatto divieto di svolgimento dell’attività di recupero ambientale individuata col codice R 10.

 

Il ricorso è stato affidato alle seguenti censure:

 

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 11 della L.r. 30.4.1991 n. 10.

 

Alla società ricorrente non è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento;

 

2) Eccesso di potere per difetto dei presupposti ed illogicità. Violazione dei principi del giusto procedimento ed efficienza. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L.r. 30.4.1991 n. 10.

 

La Provincia Regionale avrebbe dovuto specificare subito che l’attività di recupero non sarebbe potuta iniziare per insussistenza del requisito di cui all’art. 5, comma 2, lett. b), del D.M. 5.2.1998;

 

3) Eccesso di potere per contraddittorietà interna al procedimento e per sviamento della causa tipica.

 

La Provincia Regionale prima ha ammesso la società ricorrente alle procedure semplificate e l’ha iscritta nel registro delle imprese per le tipologie 7.1, 7.2, 7.31, 7.11 e 12.3, poi le ha comunicato talune situazioni fattuali anche contrastanti (presentazione solo del progetto di massima, mancata produzione dell’autorizzazione al recupero ambientale, non attualità del progetto di recupero ambientale autorizzato nel 1985, minaccia di revoca della iscrizione per la tipologia 7.31, conferma delle iscrizioni nel registro delle imprese) ed infine le ha rigettato la comunicazione di inizio attività;

 

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 33 del D.L.vo n. 22 del 1997 e dell’art. 5 del D.M. 5.2.1998.

 

Il progetto di recupero era munito di tutte le autorizzazioni previste dalla normativa ed era rispettoso delle norme tecniche e delle condizioni previste dal primo comma dell’art. 33 citato;

 

5) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 33 del D.L.vo n. 22 del 1997 sotto altro profilo. Eccesso di potere per contraddittorietà sotto altro profilo.

 

L’Assessorato Regionale intimato da una parte afferma che il progetto non necessitava di alcuna approvazione assessoriale, dall’altra fa presente la mancata attribuzione delle competenze di cui all’art. 5 del D.M. 5.2.1998. Comunque il progetto esula dalla necessità di approvazione, dal momento che lo stesso è oggetto della convenzione con l’Azienda Foreste;

 

6) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 33 del D.L.vo n. 22 del 1997 e dell’art. 5 del D.M. 5.2.1998 sotto ulteriore profilo.

 

La procedura semplificata non avrebbe senso se fosse necessaria l’approvazione regionale del progetto;

 

7) Eccesso di potere per difetto dei presupposti.

 

Il progetto della società ricorrente rispetta le direttive contenute nella nota della Provincia Regionale del 4.8.2003.

 

In conclusione, la società ricorrente ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento dei provvedimenti impugnati ed il risarcimento dei danni, col favore delle spese.

 

Per resistere all’impugnativa si è costituita in giudizio la Provincia Regionale di Palermo, la quale con memoria nei termini, eccependone preliminarmente l’inammissibilità e l’irricevibilità, ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese.

 

Parimenti, si è costituita in giudizio, per l’Assessorato Regionale intimato, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, la quale però non ha depositato scritti difensivi.

 

Successivamente, con un primo atto, notificato il 22 dicembre 2003 e depositato il 2 gennaio 2004, la società ricorrente ha impugnato i seguenti, ulteriori provvedimenti:

 

– nota della Provincia del 20.10.2003 n. 95880/9.10.7.4/10-2003, avente ad oggetto il “divieto della prosecuzione dell’attività di recupero di rifiuti, ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.L.vo 22/97”;

 

– nota del 30.10.2003 n. 1017549/9.0.7.4/10-2003, con cui si rigetta l’istanza della società ricorrente, volta all’annullamento d’ufficio della nota di cui sopra.

 

Detta impugnativa è stata supportata dai seguenti motivi aggiunti;

 

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 11 della L.r. 30.4.1991 n. 10.

 

In ordine al provvedimento del 20.10.2003 non è stato dato avviso dell’avvio del relativo procedimento;

 

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 7, del D.L.vo 11.5.1999 n. 152 e delle linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate a consumo umano, approvate con accordo della conferenza Stato-Regioni del 12.12.2002. Eccesso di potere per errore nei presupposti.

 

Tutta l’attività svolta dalla società ricorrente è esterna alla fascia di rispetto di 200 metri dal pozzo denominato “Gallina”, la cui acqua è utilizzata per consumo umano.

 

Con un secondo atto, notificato il 29.12.2003 e depositato parimenti il 2.1.2004, la società ricorrente ha impugnato l’ulteriore nota del 17.12.2003 n. 126181, con cui è stato confermato il precedente provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività, deducendo i seguenti motivi aggiunti:

 

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della L.r. n. 10/1991, sotto il profilo della carenza di istruttoria e del difetto dei presupposti. Eccesso di potere per contraddittorietà.

 

La società ricorrente con la nota dell’8.10.2003 ha chiesto l’integrazione dell’autorizzazione per altre tipologie di rifiuti con indicazione, su apposita planimetria, dell’area interessata, che è diversa da quella di cui alla precedente comunicazione di inizio di attività del 15.6.2001, alla cui relativa autorizzazione non ha mai inteso rinunciare;

 

2) Con la presente censura si ripropone la medesima doglianza già dedotta con il secondo motivo dei motivi aggiunti, come prospettati con l’atto depositato in pari data;

 

3) Illegittimità derivata dai provvedimenti precedentemente impugnati.

 

Con ordinanza collegiale n. 13 del 19 gennaio 2004 la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con l’atto introduttivo del giudizio e con quelli dei motivi aggiunti è stata accolta, nel senso del riesame, da parte dell’Amministrazione Provinciale, dei provvedimenti medesimi.

 

Con un terzo atto, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato il 20 successivo, la società ricorrente ha impugnato i seguenti, ulteriori provvedimenti:

 

1) nota n. 131 del 4.11.2004, con la quale è stata revocata l’ammissione alle procedure semplificate dell’attività di recupero R 13 delle tipologie 4.4, 7.2, 7.4, 7.11, 7.14, 7.15, 7.17, 7.18, 7,31, 11.2, 12.1, 12,3, 12.4, 12.7, 12.9, 12.15, 13.2, 13.6, 13.7 e 13.11;

 

2) nota n. 132 del 4.11.2004, con cui è stata respinta la comunicazione per l’attività di recupero dei rifiuti CER 120102 nella tipologia 7.10 per l’operazione di recupero R 13;

 

3) di tutti gli atti presupposti, tra i quali il verbale di sopralluogo del 10.6.2004.

 

Detta impugnativa è stata sorretta dalle seguenti censure:

 

1) Eccesso di potere per inottemperanza all’ordinanza cautelare propulsiva del giudice amministrativo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.r. 30 aprile 1991 n. 10, sotto il profilo del difetto di istruttoria.

 

L’Amministrazione provinciale ha effettuato il riesame, disposto con l’ordinanza di questa Sezione n. 13/2004, senza tenere conto delle indicazioni contenute nell’ordinanza medesima;

 

2) Con questa censura si reitera la medesima doglianza già dedotta con il secondo motivo dei motivi aggiunti proposti in precedenza;

 

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31-33 del D.L.vo n. 22 del 1997 e del D.M. 5.2.1998. Eccesso di potere per difetto di presupposti.

 

La mancata realizzazione delle piazzole non giustifica la revoca o il diniego;

 

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 4, del D.L.vo n. 22 del 1997.

 

L’Amministrazione non avrebbe potuto revocare l’ammissione alle procedure semplificate per l’attività R 13, ma avrebbe dovuto assegnare alla società ricorrente un termine per l’adeguamento dell’impianto alle prescrizioni tecniche;

 

5) Illegittimità derivata dai provvedimenti precedentemente impugnati.

 

Infine, con un quarto atto, notificato il 25 febbraio 2005 e depositato il 1° marzo successivo, la società ricorrente ha impugnato i seguenti successivi provvedimenti:

 

1) nota della Provincia Regionale di Palermo n. 56162/9-9-1-2003 del 4.5.2004, con cui il responsabile del procedimento ha proposto: di sottoporre al Comune di Carini la verifica di congruità della zona di rispetto, come individuata dalla società ricorrente; di revocare l’ammissione alle procedure semplificate dell’attività di recupero R 13 di vari tipologie; di non ammettere la comunicazione dei rifiuti CER 120102;

 

2) nota della stessa Provincia n. 88684/2004/9.9.1/31-03 del 21.7.2004, con cui il dirigente della Direzione controllo ambientale e smaltimento rifiuti, invita il responsabile del procedimento ad adottare gli atti di cui sopra;

 

3) verbale del tavolo tecnico del 13.7.2004, svoltosi presso la Direzione controllo ambientale e smaltimento rifiuti della Provincia medesima, con cui si conviene di procedere all’adozione dei provvedimenti anzidetti (revoca e non ammissione).

 

Gli atti impugnati sono stati sostanzialmente censurati sotto gli stessi profili di illegittimità dedotti sub 1), 2) e 5) del terzo atto di motivi aggiunti.

 

Anche relativamente agli atti impugnati con tutti i motivi aggiunti sopra indicati, la società ricorrente ha chiesto il loro annullamento ed il risarcimento dei danni.

 

Con memorie nei termini, l’Amministrazione provinciale ha controdedotto sulla fondatezza di tutti i motivi aggiunti proposti, eccependo previamente l’inammissibilità di quelli dedotti con il primo, il secondo ed il quarto atto.

 

A tali controdeduzioni la società ricorrente, a sua volta, ha controdedotto con memoria depositata il 21 novembre 2005.

 

Alla pubblica udienza del 17 maggio 2005 il ricorso, su conforme richiesta dei difensori delle parti, è stato posto in decisione.

 

DIRITTO

 

Preliminarmente, vanno prese in esame e disattese le eccezioni di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio, sollevate dalla Provincia Regionale resistente, nella considerazione che la lesione della sfera giuridica della società ricorrente si sarebbe concretizzata con la revoca dell’attività di recupero ambientale che era stata già disposta con provvedimento del 21.6.2002 n. 24427, non impugnato, e non con i provvedimenti impugnati con l’odierno ricorso.

 

Al riguardo, è sufficiente rilevare che l’intervenuta revoca non può ritenersi preclusiva della presentazione di una nuova comunicazione di inizio di attività, che, come nel caso in esame, ha avuto una autonoma istruttoria, per cui il relativo esito negativo non può ritenersi come meramente confermativo di quello di cui al provvedimento del 21.6.2002.

 

Passando all’esame di merito, fondato si appalesa il primo motivo di censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 11 della L.r. n. 10/1991, in quanto alla società ricorrente non è stata data comunicazione dell’avvio del procedimento.

 

Infatti, la comunicazione di avvio del procedimento, di cui alla nota n. 19077 del 19.4.2002, richiamata dall’Amministrazione Provinciale resistente, ha riguardo al procedimento di revoca dell’iscrizione per la tipologia di rifiuti 7.31, senza alcuna indicazione della categoria di recupero, mentre il provvedimento di revoca impugnato concerne l’attività di recupero ambientale R 10, per varie tipologie (7.2, 7.11, 7.31, 12.3).

 

Fondati sono anche i motivi secondo e terzo, che stante l’intrinseca connessione si esaminano congiuntamente, con cui si deduce l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità e contraddittorietà, nonché la violazione sia dei principi del giusto procedimento ed efficienza sia dell’art. 1 della L.r. n. 10/1991, assumendosi che l’Amministrazione provinciale:

 

– era tenuta a specificare subito che l’attività di recupero non sarebbe potuta iniziare per insussistenza del requisito di cui all’art. 5, comma 2, lett. b), del D.M. 5.2.1998;

 

– prima ha ammesso la società ricorrente alle procedure semplificate e l’ha iscritta nel registro delle imprese per le tipologie 7.1, 7.2, 7.31, 7.11 e 12.3, poi le ha comunicato talune situazioni fattuali anche contrastanti (presentazione solo del progetto di massima, mancata produzione dell’autorizzazione al recupero ambientale, non attualità del progetto di recupero ambientale autorizzato nel 1985, minaccia di revoca della iscrizione per la tipologia 7.31, conferma delle iscrizioni nel registro delle imprese di recupero) ed infine le ha rigettato la comunicazione di inizio attività.

 

In effetti, rileva il Collegio che l’azione amministrativa posta in essere dall’Amministrazione è stata alquanto defaticante e contraddittoria, tenuto conto che la stessa è pervenuta all’adozione del provvedimento finale attraverso una serie di atti e di comportamenti privi di coerenza logico e talvolta tra loro discordanti. Basti, in proposito, evidenziare la circostanza che la ragione su cui è basato l’impugnato provvedimento di rigetto della comunicazione di attività di recupero ambientale è del tutto diversa rispetto a quelle che si evincono dagli atti endoprocedimentali.

 

Quanto ai motivi quarto, quinto e sesto, con cui si denuncia la violazione degli artt. 31 e 33 del D.L.vo n. 22 del 1997 e dell’art. 5 del D.M. 5.2.1998, nonché l’eccesso di potere per contraddittorietà, rileva il Collegio che in capo alla società ricorrente è venuto meno l’interesse ad una esplicita pronuncia su detti motivi, atteso che il progetto di recupero presentato non abbisogna, come aveva già rilevato con nota del 24.9.2002 l’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente, dell’autorizzazione ex art. 19 della L.r. n. 127/1980, poiché per l’intervento di recupero vengono impiegati rifiuti speciali non pericolosi, ed atteso che con DD.AA. nn. 1053 del 22.9.2003 e 1214 del 27.10.2003 è stata stabilita la competenza delle Province Regionali all’approvazione dei progetti di recupero ambientale.

 

Inammissibile è il settimo ed ultimo motivo, con cui la società ricorrente lamenta l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, in considerazione che il progetto della società ricorrente sarebbe rispettoso delle “direttive” contenute nello stesso provvedimento impugnato, tenuto conto che le stesse in realtà più che direttive sono mere esplicitazioni delle finalità perseguite dal D.L.vo n. 22 del 1997. In buona sostanza, con tali esplicitazioni non viene espresso alcun giudizio intrinseco sul progetto della società ricorrente, e quindi dette considerazioni non sono poste a base del provvedimento impugnato, essendo altra la ragione, come avanti rilevato, su cui si fonda il provvedimento medesimo.

 

Vanno ora esaminati i motivi aggiunti proposti dalla società ricorrente avverso i successivi provvedimenti adottati dall’Amministrazione Provinciale resistente.

 

Prioritariamente, in ordine ai motivi aggiunti proposti con il primo atto, notificato il 22.12.2003, va però esaminata l’eccezione di inammissibità degli stessi, sollevata dall’Amministrazione Provinciale, sul presupposto che i nuovi provvedimenti impugnati erano già a conoscenza della società ricorrente al momento della proposizione dell’atto introduttivo del giudizio e quindi ben potevano i motivi di doglianza essere proposti contestualmente a detto atto introduttivo.

 

La dedotta eccezione non è condivisibile.

 

Infatti, la prospettata circostanza, pur essendo vera, non può condurre alla inammissibilità dei motivi aggiunti, poiché ciò che solamente rileva, per quanto qui interessa, è che tali motivi siano stati proposti e depositati (come di fatto è avvenuto) entro i previsti termini decadenziali decorrenti dalla data di comunicazione o di avvenuta conoscenza dei provvedimenti impugnati con gli stessi motivi aggiunti.

 

Nel merito, fondato si appalesa il primo motivo, con cui si deduce la violazione degli artt. 8, 9 e 11 della L.r. n. 10/1991, poiché con riguardo al provvedimento del 20.10.2003 non è stato dato avviso dell’avvio del relativo procedimento.

 

Rileva, al riguardo, il Collegio che con detto provvedimento, tra l’altro, viene fatto divieto alla società ricorrente di introdurre rifiuti presso l’impianto dove si svolge l’attività di recupero ambientale e viene previsto un termine di 90 giorni per avviare ad effettivo recupero i rifiuti giacenti presso l’impianto medesimo.

 

Ora, l’Amministrazione era obbligata per legge a dare avviso di detto procedimento iniziato d’ufficio, refluendo negativamente sulla sfera giuridica della società ricorrente.

 

Né, di contro, appare sostenibile da parte dell’Amministrazione Provinciale la considerazione che il provvedimento adottato abbia natura vincolata, dal momento che le aree di salvaguardia di sorgenti e pozzi dall’insediamento dei centri di pericolo e dallo svolgimento di alcune attività non sono univocamente determinate dalla legge, ma sono frutto di previo procedimento di accertamento sulla base di una pluralità di criteri previsti in materia, tra cui va individuato quello che di volta in volta viene reputato il più idoneo.

 

Fondato è anche il secondo motivo aggiunto, con cui si lamenta la violazione dell’art. 21, comma 7, del D.L.vo 11.5.1999 n. 152 e delle linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate a consumo umano, approvate con accordo della conferenza Stato-Regioni del 12.12.2002, nonché l’eccesso di potere per errore nei presupposti.

 

Si sostiene, in proposito, che tutta l’attività svolta dalla società ricorrente è esterna alla fascia di rispetto di 200 metri dal pozzo denominato “Gallina”, la cui acqua è utilizzata per consumo umano.

 

Dispone il settimo comma dell’art. 21 della D.L.vo n. 152/1999 che “in assenza dell’individuazione da parte della regione della zona di rispetto . . . , la medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione”.

 

Dalla disposizione di legge riportata discende, pertanto, che il raggio di 200 metri va calcolato non dal piano di campagna ma dal punto di captazione delle acque.

 

Ora, poichè il pozzo di cui trattasi è equipaggiato da una pompa sommersa, posta a quota di meno 170 metri dal piano di campagna, la fascia di rispetto va individuata da tale punto di captazione per un’estensione di 200 metri.

 

In altri termini, la fascia di rispetto va individuata in un punto che può essere considerato il vertice di un di un triangolo rettangolo avente un cateto di metri 170 ed un’ipotenusa di metri 200. Dal descritto calcolo deriva che la fascia di rispetto ha un’estensione dal pozzo, considerando la distanza dal piano di campagna, di metri 105,36 (vedasi al riguardo perizia tecnica estragiudiziale del 18.12.2003 prodotta dalla società ricorrente).

 

Ebbene, alla stregua della individuazione della fascia di rispetto con la modalità sopra delineata, deve ritenersi che l’attività svolta dalla società ricorrente sia esterna alla fascia di rispetto.

 

Peraltro, si perviene alla stessa conclusione, ove si faccia applicazione dell’accordo di cui alla conferenza Stato-Regioni de 12.12.2002, recante “Linee guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all’art. 21 del D.Lgs 11 maggio 1999, n. 152”.

 

Infatti, l’allegato 4, in ordine ai criteri per la delimitazione della zona di rispetto, prevede che “qualora sia adottato il criterio geometrico di cui all’allegato 2, titolo, 1, punto 3, lettera a), la zona di rispetto si configura come una porzione di cerchio di raggio non inferiore a 200 m. con centro nel punto di captazione, che si estende ideologicamente a monte dell’opera di presa ed è delimitata verso valle dalla isoipsa passante per la captazione”.

 

Va, poi, precisato che lo stesso allegato 2, titolo 1, punto 3, lettera a), prevede che il criterio geometrico di norma va adottato “per la delimitazione della zona di tutela assoluta e della zona di rispetto per le derivazioni da corpi idrici superficiali e, in via provvisoria, per la delimitazione delle zone di rispetto dei pozzi e delle sorgenti”.

 

Anche secondo il descritto criterio la zona di rispetto del pozzo non ricade, neppure in parte, nell’area ove sono ubicati gli impianti della società ricorrente (vedasi parimenti la perizia tecnica citata).

 

Passando, ora, all’esame dei motivi aggiunti dedotti con il secondo atto, notificato il 29.12.2003, va prioritariamente esaminata e disattesa l’eccezione di inammissibilità degli stessi, dedotta dall’Amministrazione Provinciale resistente, in considerazione che la relativa nota impugnata non è altro che un atto di conferma di quello del 20.10.2003 n. 95880, impugnato con il primo atto notificato il 22.12.2003.

 

L’assunto è, difatti, privo di fondamento dal momento che la nota impugnata, oltre a confermare il divieto di ingresso dei rifiuti presso l’impianto di c/da “Serro Pelato”, respinge l’istanza di rettifica del precedente provvedimento di divieto, sulla base di nuove circostanze.

 

Nel merito, con il primo motivo di doglianza la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 1 e 3 della L.r. n. 10/1991, sotto il profilo della carenza di istruttoria e del difetto dei presupposti, nonché l’eccesso di potere per contraddittorietà.

 

Assume, sul punto, la società ricorrente che con la nota dell’8.10.2003 ha chiesto l’integrazione dell’autorizzazione per altre tipologie di rifiuti con l’indicazione, su apposita planimetria, dell’area interessata, che è diversa da quella di cui alla precedente comunicazione di inizio di attività del 15.6.2001, alla cui relativa autorizzazione (recte: iscrizione) non ha mai inteso rinunciare.

 

L’assunto merita accoglimento.

 

Ed invero, posto che la ragione sottostante al rifiuto di rettifica del confine dei 200 metri della zona di rispetto del pozzo è esplicitata nella circostanza che il sito di messa in riserva è stato indicato nel tempo in zone diverse, va rilevato che dalla documentazione prodotta agli atti di causa dalla società ricorrente, in verità, si evince che le comunicazioni di inizio di attività di recupero, susseguenti a quella che ha dato luogo alla prima iscrizione della società medesima nel registro delle imprese che effettuano l’attività di recupero, riguardano l’ampliamento e l’integrazione delle iscrizioni.

 

Talchè è rimasta ferma, non risultando alcuna rinuncia, la prima comunicazione di attività del 15.3.2001 con il relativo sito di messa in riserva a quota 518 m. slm.

 

In definitiva, la divergenza dei siti riscontrata dall’Amministrazione è dovuta al fatto che questa non ha tenuto conto dell’originaria zona di messa in riserva, alla quale vanno aggiunte le altre zone per le ulteriori attività oggetto di apposite comunicazioni e riguardanti tipologie diverse di rifiuti.

 

Con il secondo motivo la società ricorrente reitera gli stessi profili di censura dedotti con il secondo motivo del primo atto contenenti motivi aggiunti.

 

Per la fondatezza di tali profili di censura si richiamano, pertanto, le relative argomentazioni già svolte.

 

Con il terzo motivo si deduce l’illegittimità derivata dai provvedimenti precedentemente impugnati.

 

Anche per detta censura valgono le medesime considerazioni già esposte con riguardo ai motivi posti a supporto dei relativi provvedimenti impugnati.

 

Proseguendo l’esame dei motivi aggiunti, con il primo motivo di cui al terzo atto, notificato il 7 gennaio 2005, la società ricorrente deduce l’eccesso di potere per inottemperanza all’ordinanza cautelare propulsiva n. 13/2004, emessa da questa Sezione, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.r. 30 aprile 1991 n. 10, sotto il profilo del difetto di istruttoria, in quanto l’Amministrazione Provinciale ha effettuato il riesame, disposto con l’ordinanza di cui sopra, senza tenere conto delle indicazioni contenute nell’ordinanza medesima.

 

La prospettata doglianza è fondata.

 

Invero, con la citata ordinanza è stato disposto il riesame dei provvedimenti impugnati, con l’atto introduttivo del giudizio e con i primi due atti successivi contenenti motivi aggiunti, alla luce sia della ormai stabilita competenza delle Province Regionali in ordine all’approvazione dei progetti relativi all’attività di recupero ambientale sia della summenzionata perizia estragiudiziale riguardante la delimitazione della zona di rispetto del pozzo.

 

Con i provvedimenti adottati a seguito di detto riesame l’Amministrazione provinciale ha provveduto a revocare l’ammissione alle procedure semplificate dell’attività di recupero R 13 delle tipologie 4.4, 7.2, 7.4, 7.11, 7.14, 7.15, 7.17, 7.18, 7,31, 11.2, 12.1, 12,3, 12.4, 12.7, 12.9, 12.15, 13.2, 13.6, 13.7 e 13.11 ed a respingere la comunicazione per l’attività di recupero dei rifiuti CER 120102 nella tipologia 7.10 per l’operazione di recupero R 13, motivando la revoca e la non ammissione per la mancata realizzazione delle prescrizioni tecniche dei siti di messa in riserva e per la localizzazione dei siti stessi all’interno della fascia di rispetto del pozzo “Gallina”.

 

Orbene, va rilevato che i nuovi provvedimenti censurati, a fronte delle specifiche indicazioni contenute nella predetta ordinanza, non contengono alcuna contezza sia in ordine al precedente diniego, opposto alla società ricorrente per motivi di competenza, sia in ordine alle puntuali considerazioni di carattere tecnico svolte nella menzionata perizia, che conducono a stabilire che l’attività espletata dalla società ricorrente medesima ricade al di fuori dell’area di rispetto di 200 metri dal pozzo.

 

Con il secondo motivo la società ricorrente ripropone la medesima doglianza prospettata con il secondo motivo del primo e del secondo atto contenenti motivi aggiunti.

 

Si rinvia pertanto alle argomentazioni in proposito svolte per la delibazione di fondatezza della dedotta censura.

 

Con i motivi terzo e quarto, che si esaminano congiuntamente in quanto strettamente connessi, la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 31-33 del D.L.vo n. 22 del 1997 e del D.M. 5.2.1998, nonché l’eccesso di potere per difetto di presupposti, poiché l’Amministrazione non può revocare l’ammissione alle procedure semplificate per mancata realizzazione delle prescrizioni tecniche relative ai siti di messa in riserva, ma è tenuta previamente ad assegnare all’interessato un termine per l’adeguamento dell’impianto alle prescrizioni tecniche stesse.

 

I delineati profili di censura sono fondati alla stregua del disposto di cui al quarto comma dell’art. 32 del D.L.vo n. 22/1997, laddove prevede che il provvedimento di divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività resta subordinato alla mancata conformazione dell’interessato alla normativa vigente dell’attività medesima entro il termine prefissato dall’Amministrazione.

 

Con il quinto motivo si deduce l’illegittimità derivata dai provvedimenti precedentemente censurati con l’atto introduttivo del giudizio e con i precedenti atti contenenti motivi aggiunti .

 

Anche per tale censura valgono le medesime considerazioni già esposte con riguardo ai motivi posti a supporto dei relativi provvedimenti impugnati.

 

Infine, vanno presi in esame i motivi di cui al quarto atto, notificato il 25 febbraio 2005, con cui la società ricorrente ha impugnato i seguenti, successivi provvedimenti: 1) nota della Provincia Regionale di Palermo n. 56162/9-9-1-2003 del 4.5.2004, con cui il responsabile del procedimento ha proposto: di sottoporre al Comune di Carini la verifica di congruità della zona di rispetto, come individuata dalla società ricorrente; di revocare l’ammissione alle procedure semplificate dell’attività di recupero R 13 di vari tipologie; di non ammettere la comunicazione dei rifiuti CER 120102; 2) nota della stessa Provincia n. 88684/2004/9.9.1/31-03 del 21.7.2004, con cui il dirigente della Direzione controllo ambientale e smaltimento rifiuti, invita il responsabile del procedimento ad adottare gli atti di cui sopra; 3) verbale del tavolo tecnico del 13.7.2004 svoltosi presso la Direzione controllo ambientale e smaltimento rifiuti della Provincia medesima, con cui si conviene di procedere all’adozione dei provvedimenti anzidetti (revoca e non ammissione).

 

Preliminarmente, va, tuttavia, presa in esame l’eccezione di inammissibilità dei motivi di cui sopra, sollevata dall’Amministrazione Provinciale in quanto gli stessi muovono avverso atti aventi natura endoprocedimentale.

 

La prospettata eccezione merita condivisione.

 

Rileva, al riguardo, il Collegio che gli atti impugnati costituiscono, come peraltro vengono definiti dalla stessa società ricorrente, atti istruttori correlati alle determinazioni dirigenziali nn. 131 e 132 del 4.11.2004, impugnate con l’atto per motivi aggiunti per ultimo esaminato.

 

In effetti, tali atti, richiamati dalle suddette determinazioni dirigenziali, si sostanziano in proposte e pareri che non assumono concreta ed autonoma lesività degli interessi intestati alla società ricorrente.

 

Da ultimo, va esaminata la domanda di risarcimento dei danni, formulata sia in seno all’atto introduttivo del giudizio sia in seno a ciascuno dei successivi atti con cui sono stati impugnati gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione e dedotti motivi aggiunti.

 

Tale domanda, oltre che inammissibile per genericità, va respinta, poiché la società ricorrente non ha dimostrato in concreto i lamentati danni subiti e poiché l’attività svolta dalla società medesima non è mai cessata del tutto anche in virtù della tutela accordata in sede cautelare.

 

In definitiva, per quanto suesposto, il ricorso va accolto nei sensi e nei limiti avanti indicati, con annullamento, per quanto di ragione, dei provvedimenti impugnati.

 

In relazione alla complessità della vicenda contenziosa, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi e nei limiti indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati.———————————

 

Spese compensate.—————————————————–

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.——————————————————-

 

Così deciso in Palermo il 17 maggio 2005, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori magistrati:——————-

 

-Calogero Adamo, Presidente;

 

-Filippo Giamportone, Consigliere, estensore;

 

– Aurora Lento, Referendario.

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