Compravendita immobiliare e mancanza di concessione edilizia
Corte d’Appello di Firenze, Sezione I Civile, 3 agosto 2005, n. 1140 – La sanzione della nullità, prevista dall’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47, in caso di contratti aventi per oggetto immobili privi della necessaria concessione edilizia (ora permesso di costruire)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 23.01.2001 ************conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, *********** chiedendo dichiararsi risolto per inadempimento dei convenuti il contratto preliminare in data 24 novembre 1988 col quale i suddetti gli avevano promesso in vendita un complesso immobiliare costituito da un quartiere per civile abitazione, un magazzino e due appezzamenti di terreno adiacenti di complessivi mq.6.313 posti in ********* al prezzo di £.180.000.000=, con condanna degli stessi, oltre che al risarcimento danni da quantificarsi in separato giudizio, alla restituzione della somma di £. 30.000.000= (oltre interessi legali) da loro versata a titolo di caparra confirmatoria: ciò in quanto, pur avendolo i promittenti-venditori reso edotto che le costruzioni in questione erano state eseguite senza licenza edilizia e che avevano essi presentato al riguardo domanda di sanatoria, da indagini eseguite presso il Comune di Scandicci era risultato che l’immobile non era suscettibile di sanatoria e non era quindi legittimamente trasferibile.
Costituitisi in giudizio, i convenuti chiedevano il rigetto siccome infondate delle domande attrici e, assumendo che il Postiglione aveva per ben due volte disertato la formale diffida ad adempiere, chiedevano in via riconvenzionale dichiararsi la risoluzione del contratto per inadempimento del medesimo.
Quindi, all’esito dell’istruzione, articolatasi nella sola produzione di documenti, con sentenza del 3 -12.9.2002 il Tribunale fiorentino in composizione monocratica rigettava la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava risolto il contratto preliminare in questione per colpa dell’attore e, per l’effetto, il diritto dei convenuti alla ritenzione della caparra di £.30.000.000=, oltre al rimborso delle spese di lite.
Riteneva il primo giudice che non poteva accogliersi la prospettiva dell’attore secondo cui si sarebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere siccome richiesta da entrambe le parti, posto che vi era contrasto fra le stesse in ordine all’imputabilità dell’inadempimento,
Quanto alla dedotta nullità del preliminare, richiamava la consolidata giurisprudenza secondo la quale non è applicabile al contratto preliminare la sanzione della nullità prevista dagli artt.17 e 40 L. n.47/85 per il contratto definitivo di trasferimento avente ad oggetto immobili abusivi. Di più, il contratto preliminare ‘de quo’ non era nullo, in quanto non era inficiato da invalidità originaria (al momento della sua stipulazione non si era ancora verificata la condizione – esito favorevole della domanda di concessione in sanatoria – alla quale era subordinata la validità del contratto definitivo). E se anche si fosse voluto parlare di nullità, questa non avrebbe potuto che essere parziale in quanto concernente una parte marginale degli immobili, di modo che al preliminare si sarebbe potuto dare esecuzione: per contro, l’attore aveva manifestato la sua chiara volontà di non adempiere con due lettere raccomandate del 7 luglio1999.
Contro tale sentenza propone appello il *********, chiedendone la riforma nei sensi di cui in epigrafe sulla base dei seguenti motivi : 1)
il Tribunale ha errato nel rigettare la domanda risolutoria (ed anche quella di condanna generica al risarcimento danni ultronei) di esso appellante, dal momento che i contratti su edifici non forniti di concessione edilizia sono affetti da nullità assoluta e insanabile ai sensi degli artt.17e 40 legge n.47/85, non potendosi ritenere che, relativamente ad un immobile abusivo, sia valido il contratto preliminare e nullo invece il contratto definitivo: è inoltre assurdo l’assunto del Tribunale secondo cui l’oggetto del contratto in questione era duplice, cioè abitazione e terreno circostante e ipotizzare quindi una nullità solo parziale, poiché la causa del contratto va individuata con riferimento al contratto considerato nella sua unità e totalità e l’oggetto del contratto era nella specie l’abitazione, comprensiva del fabbricato ad uso magazzino e del terreno circostante, il quale da solo era insuscettibile di qualsiasi impiego economico; 2) ha altresì errato il primo giudice, che ha confuso la pronunzia sulla risoluzione con quella sulla colpa della risoluzione, nel non prendere atto della avvenuta cessazione della materia del contendere, posto che entrambe le parti concordavano per la risoluzione del contratto, non rilevando il permanere fra le stesse di contestazioni sull’imputabilità dell’inadempimento;
3) ha ancora errato il Tribunale sia nell’accettare la qualifica di domanda riconvenzionale di quella che era invece una semplice difesa dei convenuti intesa a negare l’obbligo restitutorio, sia nel riconoscere agli stessi convenuti il diritto di ritenzione della caparra, dal momento che non si può definire inadempiente il promettente-acquirente che si rifiuti di concludere un contratti definitivo illecito; 4)
è per conseguenza errata anche la condanna di esso appellante alle spese del giudizio.
Resistono gli appellati *************.
Quindi, all’udienza del 21.12.2004, concessi alle parti i termini ex art.190 c.p.c. per ulteriori difese scritte, la Corte ha trattenuto la causa in decisione, deliberando alla successiva udienza camerale del 22 marzo 2005.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato.
In ordine ai motivi di gravame, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta relazione, palesemente destituita di fondamento è in primo luogo la doglianza secondo cui il primo giudice avrebbe confuso la pronuncia sulla risoluzione del contratto con quella sulla colpa: la confusione è tutta dell’appellante, il quale pretenderebbe che la convergenza delle parti sulla pronuncia di risoluzione del preliminare in questione esonererebbe il giudice dal pronunciarsi sulla imputabilità dell’inadempimento, oggetto di controversia fra le parti stesse.
Al riguardo correttamente il Tribunale ha, nonostante la non-commerciabilità dell’immobile promesso in vendita, pronunciato la risoluzione del contratto preliminare ‘inter partes’ per inadempimento del **********. Contrariamente all’assunto di quest’ultimo, nel caso di specie non è questione di nullità del contratto, ma di inadempimento alle obbligazioni assunte.
E’ infatti principio consolidato che << la sanzione della nullità, prevista dall’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47, per le fattispecie negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli atti di trasferimento “inter vivos”, mentre non può essere estesa ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita (v. per tutte, da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 4 gennaio 2002, n. 59; Cassazione civile, sez. II, 17 giugno 1999, n. 6018).
Si è ribadito e precisato al riguardo che << la sanzione della nullità prevista dall’art. 40 della l. n. 47 del 1985 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria deve ritenersi limitata ai trasferimenti aventi effetto reale, e non anche estesa ai contratti dalla efficacia meramente obbligatoria (quale un preliminare di vendita), in relazione ai quali trova, pertanto, applicazione la (diversa) norma di cui all’art. 15 della l. n. 10 del 1977, a mente della quale la nullità di tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione, non può essere fatta valere in giudizio qualora risulti che il promissario acquirente fosse a conoscenza della circostanza della mancata concessione, e che tale conoscenza emerga inequivocamente dal contenuto dall’atto >>
(Cassazione civile, sez. II, 6 agosto 2001, n. 10831; Cassazione civile, sez. II, 17 giugno 1999, n. 6018; Cassazione civile, sez. II, 1 settembre 1997, n. 8335)
Come la giurisprudenza della Suprema Corte ha ripetutamente evidenziato, è ben vero che la deroga al principio della nullità degli atti posta dalla norma citata richiede due distinte ed autonome condizioni che devono entrambe ricorrere, cioè non solo che l’acquirente fosse a conoscenza dell’abuso ma anche che tale conoscenza risulti formalmente dall’atto della cui nullità si discute.
Ma nella specie non può parlarsi di nullità del contratto preliminare di cui trattasi, in quanto non solo ricorrono le due menzionate condizioni (il ********** è espressamente reso edotto della situazione urbanistica abusiva degli immobili a lui promessi in vendita), ma – di più e in via decisiva – risulta dal contratto stesso che “..La parte promettente l’acquisto dichiara espressamente.. che esonera la parte promettente la vendita da ogni responsabilità e garanzia nel caso che non siano rilasciate le Concessioni in sanatoria, attualmente in coso di definizione presso le competenti autorità, sia prima o dopo la stipula dell’atto di trasferimento definitivo. L’eventuale diniego totale o parziale da parte delle competenti autorità al rilascio delle Concessioni in sanatoria sopra dette non potrà comportare in alcun caso la risoluzione della presente promessa di vendita..”.
In forza della clausola testé riportata, legittima espressione della autonomia privata delle parti, il preliminare non è risolvibile, nel caso di mancata futura sanatoria della situazione abusiva, per espresso impegno del promettente-acquirente, il quale mostra in tal modo non solo e non tanto di avere interesse al terreno circostante (che, attesa la sua consistenza ed ubicazione, è – contrariamente all’assunto di parte appellante – suscettibile di autonoma valenza economica come azienda di floricoltura e/o vivaistica), ma anche – ed essenzialmente – di aver inteso stipulare un contratto ad indubbio profilo aleatorio, accettando – in relazione al prezzo complessivo dei beni promessi in vendita (£.180.000.000=, esiguo in relazione all’ubicazione – e alla consistenza dei beni – il rischio della mancata futura regolarizzazione degli immobili. Col che rimane sterile nella specie l’assunto – ovviamente condivisibile in linea generale – secondo cui tra i requisiti fondamentali per la valida conclusione di un contratto vi è in primo luogo la liceità e possibilità dell’oggetto: consapevole dell’alea che connotava l’esistenza dei fabbricati (e dell’ottimo affare che avrebbe compiuto in caso di rilascio delle richieste sanatorie), il promettente-acquirente ha espressamente convenuto con la controparte la non-risolvibilità in ogni caso del preliminare da loro stipulato.
In applicazione dei principi suddetti, è ineccepibile la decisione impugnata che, lungi dall’imputare la risoluzione del preliminare ai promettente-venditori, ha ritenuto inadempiente il promettente-acquirente per aver egli –dato pacifico in causa – espressamente e ripetutamente manifestato la sua volontà di non addivenire alla stipula del contratto definitivo.
Va pertanto confermata la risoluzione del contratto preliminare ‘de quo’ per colpa del **********pronunciata dal Tribunale in accoglimento della formale domanda (e non già la “semplice deduzione difensiva” volta a negare l’obbligo restituorio di cui parla parte appellante) e conseguente declaratoria del diritto degli odierni appellati alla ritenzione della caparra confirmatoria.
Restando assorbita ogni altra questione e deduzione, l’appello va pertanto respinto.
Le spese ulteriori del giudizio gravano sull’appellante, soccombente, e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunziando, rigetta l’appello proposto da ************contro la sentenza del Tribunale di Firenze in data 3 – 12.09.2002 e condanna il suddetto appellante a rimborsare agli appellati **********le spese ulteriori del giudizio, che si liquidano in complessivi € 2.047,13=, di cui € 1.250,00= per onorari ed € 563,00= per diritti, oltre IVA e CAP di legge.
Firenze, 22 marzo 2005