IL RINNOVO TACITO DEL CONTRATTO STIPULATO PRIMA DELLA LEGGE N. 431/1998, E' DI QUATTRO E NON DI OTTO ANNI

CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA Sez. II, 10 agosto 2004, n. 1049. – Contratto di locazione – Stipulato antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 431/98 – Rinnovo tacito – Durata – Quattro anni – Ragione.

 

Il richiamo alla disciplina del primo comma dell’art. 2 L. n..431198 – operato dal sesto comma del medesimo articolo per i contratti antecedenti e che si rinnovino tacitamente sotto il vigore della nuova norma – concerne solo la durata minima quadriennale, non anche la rinnovazione per un uguale periodo alla scadenza. (L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 2) (1).

(1) Sulla stessa linea interpretativa Trib. Torino 23 ottobre 2002, in questa Rivista 2003, 374 e Trib. Genova, ord. 30 aprile 2002, ivi 2002, 435. Contra, nel senso di ritenere che le locazioni rinnovatesi tacitamente dopo l’entrata in vigore della L. n. 431/98 sono integralmente assoggettate al regime di durata stabilito dall’art. 2, comma 1, v. Trib. Monza, sez. dist. Desio, 7 maggio 2003, ivi 2004, 79.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con intimazione di licenza notificata il 26 settembre 2002 e contestuale citazione per la convalida Vecchi Maria Luisa e Vecchi Franco, nella qualità di proprietari locatori di un appartamento sito in Modena, via Vecchi n. 57, convenivano innanzi al Tribunale di Modena il conduttore Salvioli Giovanni, per chiederne la condanna al rilascio dell’immobile a far tempo dall’ 1 novembre 2002. A sostegno di tale domanda precisavano che:

– il contratto, stipulato il 15 novembre 1994 per la durata di due anni, era stato tacitamente rinnovato alle scadenze del 31 ottobre 1996, 31 ottobre 1998 e 31 ottobre 2000;

– con lettera 3 aprile 2002 i locatori avevano comunicato formale disdetta, precisando di dover procedere ad opere di manutenzione ed adeguamento degli impianti.

Il convenuto si costituiva opponendosi all’avversa richiesta, in quanto:

– da oltre 42 anni occupava l’immobile in forza di un contratto biennale concluso con la madre degli attuali ricorrenti, sempre rinnovato tacitamente alla scadenza;

– la lettera di controparte datata 3 aprile’2002 non integrava una valida disdetta, contenendo la manifestazione di volontà di apportare modifiche all’appartamento ma, al contempo, rassicurando il conduttore

che avrebbe continuato a vivere al suo interno: per costante giurisprudenza la disdetta, che costituisce condizione di procedibilità dell’azione di rilascio, pur potendo essere comunicata con forme diverse dalla raccomandata ex art. 3 L. 392/78, deve contenere inequivocabilmente la volontà di non rinnovare il contratto alla scadenza.

All’udienza del 29 ottobre 2002 il Giudice, preso atto dell’opposizione, denegava il richiesto provvedimento di convalida e disponeva la trasformazione del rito, con termine per il deposito degli atti integrativi.

Con memoria depositata i121 febbraio 2003 gli attori rilevavano che dalla lettera 3 aprile 2002 si evinceva la loro chiara volontà di non rinnovare il contratto, aggiungendo che non era pensabile che i lavori potessero essere eseguiti con l’appartamento occupato; comunque, chiedevano l’ammissione di prova testimoniale atta a comprovare che già dal mese di ottobre 2002 era stata data comunicazione al conduttore che doveva lasciare l’immobile libero.

All’udienza del 18 giugno 2003 il Giudice non ammetteva le prove orali in quanto irrilevanti e disponeva procedersi alla discussione, all’esito della quale pronunciava sentenza.ex art. 281 sexies c.p.c., con la quale, pur compensando integralmente le spese di lite, rigettava il ricorso e fissava la scadenza del contratto alla data del 31 ottobre 2010. A sostegno di tale decisione rilevava che:

1) il tenore della missiva 3 aprile 2002 non era idoneo a manifestare la chiara volontà di nn voler rinnovare il contratto;

2) la scadenza del 31 ottobre 2010 era determinata dal fatto che il contratto si era rinnovato sotto il vigore della nuova legge (art. 2, comma 6, L. n. 431/98).

Avverso tale decisione interponevano appello Vecchi Maria Luisa e Vecchi Franco, per motivi. così riassumibili:

I. erronea valutazione del contenuto della lettera 3 aprile 2002, contenente una chiara manifestazione di volontà di non rinnovare il contratto, tanto più che non sarebbe stato possibile eseguire i lavori se l’immobile non fosse stato completamente liberato; sicché era evidente che il mantenimento di una porzione dell’immobile da parte del conduttore, di cui alla missiva in questione, sarebbe avvenuta a lavori ultimati, e previa stipulazione di un nuovo contratto;

II. vizio di extrapetizione e/o ultrapetizione, ex art. 112 c.p:c.; per avere il tribunale fissato la scadenza del contratto alla data del 31 ottobre 2010, ben oltre il termine de131 ottobre 2006 indicato dai ricorrenti;

III. erroneità della decisione sopra indicata, in quanto il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato anteriormente alla L. n. 431/98, una volta rinnovatosi per mancata disdetta sotto il vigore di tale nuova legge; acquista durata quadriennale e può cessare a seguito di diniego di rinnovazione da parte del locatore alla scadenza di tale primo quadriennio (Trib. Roma 11 aprile 2002).

L’appellato si costituiva contestando ogni avversa deduzione e richiesta, e faceva presente che la rinnovazione del contratto per la durata di otto anni dalla sua scadenza, nel vigore della nuova disciplina urbanistica, era dettata da norme inderogabili.

All’udienza collegiale del 16 luglio 2004 la causa veniva discussa e quindi decisa nei termini e per i motivi di seguito indicati.

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE. – Il primo motivo di appello è destituito di fondamento, in quanto dalla lettera in contestazione non risulta alcuna chiara intenzione di denegare la rinnovazione del contratto alla scadenza; al contrario, alcune espressioni, come quelle relative all’intenzione del conduttore di proseguire nel rapporto, si pongono in senso del tutto opposto. Né parte appellante può pensare di integrare validamente le suddette risultanze facendo ricorso alla prova orale dedotta, non foss’altro perché la chiara comunicazione della necessità di liberare l’appartamento, di cui al cap. 2, sarebbe stata effettuata nel mese di ottobre, e quindi ben oltre la scadenza del termine semestrale per la comunicazione del diniego.

Risulta, invece, fondata la doglíanza relativa alla scadenza del termine del rapporto contrattuale, sotto entrambi i profili indicati nei precedenti punti II e III.

Anzitutto, risponde al vero che il primo giudice, fissando la scadenza del contratto alla data del 31 ottobre 2010, è andato ben oltre le richieste del conduttore, che aveva a tal fine indicato la data del 31 ottobre 2006, corrispondente al termine del primo rinnovo quadriennale. Tale decisione, comportante un palese vizio di ultrapetizione, non può trovare giustificazione nell’applicazione d’ufficio di una disciplina inderogabile, essendo pur sempre vero che i relativi benefici, nella fase post contrattuale, possono essere rinunciati dalla parte che ne risulta favorita.

In secondo luogo il tribunale, applicando ultra petita il rinnovo di quattro anni alla scadenza del primo quadriennio, ha di fatto privato la parte locatrice della possibilità di disdetta anche per i casi nei quali sarebbe consentita, a norma dell’art. 3, comma 1, lett. a), b) e c) della L: n. 431/98.

In terzo luogo, questa Corte ritiene che il richiamo alla disciplina del primo comma dell’art. 2 della norma in esame – operato dal sesto comma del medesimo articolo per i contratti antecedenti e che si rinnovino tacitamente sotto il vigore della nuova norma – debba concernere solo la durata minima quadriennale, ma non anche la rinnovazione per un eguale periodo alla scadenza: in questi casi, proprio perché il rapporto proviene da un precedente contratto rinnovato tacitamente, non sussiste l’esigenza di particolare tutela del conduttore circa la stabilità del rapporto, cui è finalizzata la previsione della rinnovazione alla prima scadenza.

In considerazione del parziale rigetto dell’appello e dell’incertezza interpretativa legata alla nuova disciplina locatizia, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese processuali. (Omissis).

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