LA MOROSITà INCOLPEVOLE E GLI SFRATTI INFINITI
LA MOROSITA’ INCOLPEVOLE E NUOVE POSSIBILI FRONTIERE DEL DIRITTO CIVILE
- La morosità incolpevole
La morosità incolpevole nelle locazioni abitative fa la sua apparizione nella legislazione di settore con l’art. 6 comma 5 del decreto legge n. 102 del 31 agosto 2013 convertito con legge n. 124 del 28 ottobre 2013, che dispone la costituzione di un fondo presso il Ministero delle infrastrutture, testualmente “destinato agli inquilini morosi incolpevoli” (da approvare, se non altro, l’uso del termine “inquilini” che adegua la norma al linguaggio corrente, rispetto al termine codicistico di “conduttori”). Il fondo, con evidenti finalità assistenziali, è stato ripartito per la erogazione ai beneficiari, tra i Comuni ad alta tensione abitativa che avevano già avviato le procedure per la erogazione di contributi, ma previa determinazione da parte dei Comuni stessi dei presupposti della morosità incolpevole, secondo i criteri e le priorità che sarebbero state stabilite con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministero delle finanze. I Ministeri hanno provveduto con decreto del 14 maggio 2014 (in Gazzetta Ufficiale il successivo 14 luglio), che ha definito la morosità incolpevole come “situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare” (art. 2), ed ha attribuito alla erogazione dei contributi lo scopo della ricostituzione di un nuovo rapporto di locazione in sostituzione di quello risolto a causa della morosità, ovvero dell’ottenimento del consenso del locatore al rinvio del rilascio dell’immobile locato (art. 5 del D.M. 14 maggio 2014). Dunque, quella della morosità incolpevole è una espressione legislativa il cui contenuto è stato devoluto a successivi provvedimenti amministrativi attuativi, ma resta l’esigenza dell’inquadramento di tale nuovo istituto nel sistema dei principi civilistici sull’inadempimento alle obbligazioni pecuniarie contrattuali.
- 2. Breve storia delle proroghe dei procedimenti esecutivi di sfratto
Ai fini di un sommario inquadramento del nuovo istituto si osserva che, dopo il superamento da parte della legge n 392/1978 (dell’equo canone), del metodo della proroga della scadenza dei contratti di locazione quale strumento di soluzione del c.d. disagio abitativo, ed ancor prima della attuale disciplina delle locazioni di cui alla legge n. 431/1998, il legislatore è ripetutamente intervenuto non più sulla durata legale-contrattuale dei rapporti locativi che rimane, formalmente, invariata, ma sui procedimenti esecutivi per rilascio dell’immobile locato alla scadenza del contratto[1] ed ora anche per morosità, la cui conclusione viene differita in relazione alle presumibili difficoltà della sistemazione dell’inquilino e della sua famiglia in altra abitazione, previa valutazione comparata delle esigenze del locatore; il tutto sotto il controllo del giudice[2] al quale spetta di verificarne i presupposti dei differimenti, in favore degli inquilini, delle esecuzioni forzate, oggi di fatto sine die[3] (nel momento attuale, limitatamente agli appartenenti a categorie svantaggiate). In tal modo si procrastina l’occupazione dell’immobile e si realizza una locazione di fatto[4] e quindi un rapporto nel quale sopravvivono, con il consenso della legge, comportamenti delle parti corrispondenti alle principali obbligazioni del contratto di locazione pur dopo la cessazione del rapporto locativo (quindi, uso dell’immobile da parte dell’ex conduttore e diritto dell’ex locatore al pagamento di una indennità corrispondente al canone ex art. 1 bis D.L. n. 551/1988, art. 6 comma 6 legge n. 431/1998 ed art. 1591 c.c.).
Questa tendenza legislativa ha suscitato frequenti moniti da parte della Corte Costituzionale[5] in quanto la proroga del procedimento esecutivo, seppure disposta «per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato», è sembrata incompatibile con i principi costituzionali a tutela della eguaglianza, della tutela giurisdizionale dei diritti, del diritto di proprietà e della ragionevole durata del processo (anche esecutivo), onde sono state ritenute costituzionalmente ammissibili le proroghe in executivis solo in ragione della loro eccezionalità e temporaneità, per altro, solo apparenti in quanto le proroghe sono state, a loro volta, sistematicamente prorogate. Nondimeno la disciplina delle proroghe, l’ultima delle quali è limitata, come sopra detto, al 30 aprile 2015, restando soggetta al controllo giudiziale sulla esistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dell’inquilino e sulla valutazione di eventuali specifici interessi del locatore contrari alla proroga e, come le precedenti, a beneficio di conduttori appartenenti a categorie svantaggiate, ha sempre escluso gli sfratti per morosità, fino ad oggi ritenuti non meritevoli di interventi assistenziali per previsione legislativa, ed anche se, sovente, i Comuni sono intervenuti di loro iniziativa con misure assistenziali in favore degli inquilini morosi.
Dunque la condizione di morosità incolpevole non ha e non può avere alcun effetto di attenuazione della responsabilità nella fase di cognizione giurisdizionale (sommaria o ordinaria) dell’inadempimento quanto alla risoluzione del contratto (artt. 1454 e segg.) ed al risarcimento dei danni (artt. 1224 e con riferimento alla locazione, art.1591 c.c.), e quindi non ha effetti estintivi della obbligazione alla quale il conduttore si trova nella impossibilità di adempiere, ma è presupposto di interventi assistenziali soltanto nella fase esecutiva. Ora, infatti, il D.L. n. 102/2013 come attuato con il decreto ministeriale del 14 maggio 2014, prevede la somma di due benefici in favore degli inquilini inadempienti alla obbligazione di pagamento del canone (non quindi ad altre obbligazioni), ma in grado di giustificare (rectius, motivare con ragioni meritevoli di considerazione) il mancato pagamento: un contributo con finalità assistenziale, finalizzato alla stipulazione un nuovo contratto di locazione o al rinvio della esecuzione (e quindi con beneficio indiretto anche per i locatori; cfr. art. 5 del decreto ministeriale), ed il rinvio o più esattamente la programmazione (non del procedimento esecutivo che, formalmente non subisce alcuna sospensione o rinvio, ma) della assistenza della forza pubblica all’ufficiale giudiziario incaricato della esecuzione dello sfratto.
Pertanto i confini del nuovo istituto sono chiari: la condizione di morosità incolpevole può essere oggetto di accertamento solo da parte della autorità amministrativa (Comune e Prefettura), e non ha alcun rilievo nel procedimento giurisdizionale di cognizione diretto all’accertamento dell’inadempimento del conduttore, e nemmeno i suoi effetti si manifestano nel procedimento esecutivo, egualmente di natura giurisdizionale, di attuazione del decisum del giudice, il quale non subisce alcun arresto, ma viene depotenziato e privato di efficacia e di effettività, poiché l’ufficiale giudiziario potrà disporre della assistenza della forza pubblica per l’esecuzione dello sfratto nei confronti di un inquilino moroso incolpevole, solo secondo i tempi della programmazione prefettizia. Inutile dire che nel diritto vivente e nella prassi degli uffici, l’assenza della forza pubblica, che di fatto rende difficile, se non impossibile, la attuazione del titolo esecutivo, è percepita come effettiva sospensione del procedimento e come ulteriore gravame a carico dei locatori, onde la fictio di non incidere sul procedimento esecutivo ma solo sulle modalità di esecuzione, non dovrebbe avere alcun effetto in un eventuale giudizio di costituzionalità.
Tuttavia, non ostante la valenza del nuovo istituto esclusivamente ai fini assistenziali e non civilistici, nonché le evidenti cautele dirette ad evitare la collisione della morosità incolpevole con i principi di rango costituzionale che garantiscono, anche in sede esecutiva, la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, la morosità incolpevole si pone in forte discontinuità con i principi civilistici in tema di inadempimento contrattuale, oltreché con la disciplina dei differimenti dei procedimenti esecutivi di sfratto (o provvedimenti a questi equiparati, fondati sull’inadempimento del conduttore), che fino ad oggi ha sempre escluso gli sfratti per morosità
- 3. L’inadempimento delle obbligazioni contrattuali e la morosità incolpevole
In generale l’art. 1218 c.c. dispone che nelle obbligazioni contrattuali la colpa dell’inadempiente si presume, quale presupposto della sua responsabilità, mentre è onere del debitore la dimostrazione della impossibilità della prestazione da attribuire a causa a lui non imputabile e che inevitabilmente viene a coincidere con il caso fortuito o la forza maggiore. “Tra i fatti non imputabili rientrano quelli che risultino evitabili solo con costi umani o economici talmente elevati da non potere essere richiesti ad un debitore che sia tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia” (così, ex multis, Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2013, n. 26353)[6]. Naturalmente la colpa può variare, in relazione alla infinita varietà delle fattispecie ed alla prevedibilità ed evitabilità delle cause della impossibilità di adempimento.[7] Dunque, la colpa costituisce elemento comune ad ogni ipotesi di responsabilità contrattuale, compreso l’inadempimento alla obbligazione del pagamento dei canoni, con presunzione a carico del debitore inadempiente ed a favore del creditore (locatore). Parrebbe tuttavia che la previsione del D.L. n. 102/2013 della morosità incolpevole, non faccia eccezione ai principi in tema di responsabilità contrattuale, anche perché il decreto ministeriale (art. 2), definisce questa ipotesi di morosità come impossibilità a provvedere al pagamento del canone, così utilizzando lo stesso termine dell’art. 1218 c.c..
In realtà la morosità incolpevole ha una portata eccezionale rispetto al principio tradizionale secondo il quale l’impossibilità della prestazione ex art. 1218 c.c., quale esonero di responsabilità, è sempre stata esclusa quando si tratti di inadempimento ad obbligazioni pecuniarie, ciò in considerazione della natura di bene generico del denaro quale mezzo di adempimento, e quindi della sua astratta disponibilità da parte del debitore, il che vale ad escludere l’impossibilità di adempiere.[8] Ex multis, Cassazione civile, sez. II, 15 novembre 2013, n. 25777: “In materia di obbligazioni pecuniarie, l’impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell’esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso, non potendosi ravvisare nella mera impotenza economica derivante dall’inadempimento di un terzo nell’ambito di un diverso rapporto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che configuri l’impossibilità obiettiva ed assoluta di adempiere la maturata prescrizione del diritto della medesima parte ad ottenere, a sua volta, la ripetizione di importi corrisposti a terzi a titolo transattivo)”; e, conforme: Cass. civ., sez. lav., 20 maggio 2004 n. 9645.
Ora, anche a prescindere dal principio secondo il quale la solo esistenza del bene denaro nel sistema economico dovrebbe assicurarne la disponibilità al debitore, il giudizio sulla impossibilita della prestazione presupporrebbe anche un sindacato sulla capacità del debitore e del suo nucleo familiare di procurarsi la necessaria disponibilità di denaro (si potrebbero dare casi di disoccupazione non del tutto involontaria), e sulle scelte del debitore tra i diversi impegni di spesa per esigenze primarie della vita familiare (mantenimento, salute, istruzione in senso lato, tempo libero, sicurezza e quant’altro), rispetto ad alcuno dei quali il pagamento del canone, collegato con la esigenza, egualmente primaria della abitazione, potrebbe essere prevalente. Ma in proposito, così come il decreto legge si limita alla mera denominazione della morosità incolpevole, senza precisarne il contenuto, il decreto ministeriale (art. 2) glissa sullo stesso concetto, limitandosi ad indicare quali presupposti per la concessione dei contributi assistenziali, le riduzioni rilevanti di reddito dell’inquilino, dovute a condizioni di salute o disoccupazione involontaria, e quali condizioni per la applicazione della graduazione-programmazione da parte della Prefettura (non degli sfratti, ma) della disponibilità della forza pubblica. Tali dunque i parametri entro i quali i Comuni possono determinare, in concreto l’entità della morosità, le condizioni di salute e delle riduzioni di reddito, rilevanti agli effetti del riconoscimento dei benefici.
Dunque la portata della morosità incolpevole, possiamo ben dire fortemente innovativa rispetto ai tradizionali principi civilistici secondo i quali l’inadempimento è causa di responsabilità e non di vantaggi, sta nell’aver esteso ex D.L. n. 102/2013 alle obbligazioni pecuniarie (i canoni di locazione abitativa), e nella attenuazione e derubricazione della impossibilità di cui all’art. 1218, a difficoltà di pagamento a causa di ragioni altrimenti irrilevanti (la mancanza di denaro dovuta ad eventi involontari[9]), in sintonia con il diffuso favor per l’inquilino. Tuttavia non si può non auspicare che il legislatore abbia adeguatamente valutato la forza espansiva della nuova lettura dell’art. 1218 c.c., agevolmente trasferibile, sia de jure condendo che nella applicazione giurisprudenziale, dalla fase esecutiva della tutela giurisdizionale a quella di cognizione, e dal canone di locazione ad altre obbligazioni egualmente strumentali rispetto al soddisfacimento di interessi primari della persona (come l’obbligazione di rimborso del mutuo bancario contratto per l’acquisto della casa di abitazione), con possibile pregiudizio per la certezza dei rapporti obbligatori, intesi come strumento di corretto svolgimento dei rapporti sociali[10].
- Il procedimento di concessione del contributo comunale
I Comuni disciplinano il procedimento per la concessione dei contributi con apposito regolamento, secondo i principi dettati dal decreto ministeriale. Il procedimento avrà inizio su istanza dell’inquilino, mentre non sembra che il locatore, che pure, in relazione alle fattispecie, potrebbe beneficiare, anche se indirettamente, del contributo, possa avere un interesse che lo legittimi alla istanza. La morosità dovrà essere stata accertata giudizialmente come è dimostrato dalla lettura coordinata dell’art. 6 del D.L. n. 102/2013, che si limita ad indicare i conduttori morosi incolpevoli, e del decreto ministeriale attuativo del 14 maggio 2014 (quindi mediante convalida della intimazione di sfratto, ma anche, considerata la ratio del provvedimento, con ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. o con sentenza che abbia accertato l’inadempimento). Infatti il decreto ministeriale (art. 4) che parla di morosità accertata, sotto questo profilo interpretando correttamente il testo normativo, prevede tre distinte ipotesi di priorità nella assegnazione dei contributi (art. 5), le quali presuppongono tutte l’avvenuto accertamento giudiziale della morosità, anche se con pronuncia sommaria e non definitiva (come nel caso di applicazione dell’art. 665 c.p.c.). Le tre ipotesi presuppongono infatti la avvenuta risoluzione del contratto per effetto di morosità (o la ragionevole prevedibilità di risoluzione nel caso di pronuncia di ordinanza ex art. 665 c.p.c.), e la prima e la terza anche la soggezione dell’inquilino ad un procedimento esecutivo per rilascio. Potrebbe suscitare dubbi la seconda ipotesi (inquilini che per ridotta capacità economica non sono in grado di corrispondere ad un eventuale futuro locatore il deposito cauzionale relativo ad un nuovo contratto), e che a stare alla lettera del decreto ministeriale potrebbero non trovarsi nella condizione di morosità o di morosità accertata giudizialmente, ma soltanto in difficoltà nell’adempimento. Tuttavia anche in questa ipotesi la conclusione non cambia. Infatti in primo luogo l’art. 3 comma 1, lett. b) del decreto ministeriale, anche se con una certa approssimazione lessicale, riserva i benefici a chi sia destinatario di una intimazione di sfratto per morosità, da intendersi, secondo una interpretazione logica, come convalidata o che comunque abbia superato la prima verifica giudiziale ai sensi dell’art. 665 c.p.c. In secondo luogo, la necessità di stipulare un nuovo contratto di locazione per il quale sarà richiesta dal locatore la costituzione del consueto deposito cauzionale, presuppone che il precedente contratto sia stato risolto, poiché la norma del decreto ministeriale è dichiaratamente applicativa dell’art. 6 comma 5 del D.L. n. 102/2013 che, nonostante il linguaggio atecnico, riserva le misure assistenziali agli inquilini soggetti a procedimenti esecutivi di sfratto (si vedano i riferimenti ai c.d. percorsi di accompagnamento sociale – si presume, dalla casa restituita al locatore ad altra casa – ed alla programmazione degli interventi della forza pubblica, come completamento del pacchetto assistenziale previsto per i casi di morosità incolpevole)[11].
Le considerazioni che precedono confermano dunque che ogni valutazione sulla eventuale incolpevolezza dell’inadempimento, nel senso del D.L. n. 102/2013, alla primaria obbligazione del conduttore di pagamento del canone, resta estranea al procedimento giurisdizionale di cognizione nel quale è stato emesso il titolo esecutivo, con la conseguenza che la corretta attuazione del decreto legge e del decreto ministeriale applicativo, esclude che il provvedimento pronunciato in sede di cognizione possa contenere qualunque riferimento, anche incidentale, alla incolpevolezza dell’inadempimento che, oltretutto, verrebbe a contrastare con la pronuncia di convalida o di risoluzione del contratto per inadempimento, salvo che ai soli fini della concessione dei distinti termini di cui agli artt. 55 e 56 legge n. 392/11978, rispettivamente, per il pagamento dei canoni scaduti e per l’esecuzione forzata, come era consentito fin da prima della novità della morosità incolpevole.
I contributi saranno erogati dai Comuni, previa regolamentazione del procedimento nel rispetto delle regole e dei principi stabiliti dalla legge n. 241/1990 e segnatamente dell’art. 12 secondo il quale, in generale, la concessione di contributi finanziari è subordinata alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità ai quali le amministrazioni stesse dovranno attenersi. Il regolamento comunale, in attuazione dell’art. 5 del decreto ministeriale, dovrà dettare le regole al fine di proporzionare il contributo alla meritevolezza del destinatario, previa valutazione comparata della condizione degli inquilini richiedenti, in relazione alla composizione familiare, alla riduzione dei reddito ed alle cause di tale riduzione di cui all’art. 2, con successiva graduazione dei beneficiari secondo i criteri di priorità di cui all’art. 5 (stipulazione di nuovo contratto, consenso del locatore alla dilazione dello sfratto). E’ dunque ovvia nella fase comunale del procedimento, l’applicazione della legge n. 241/1990, e quindi dell’art. 2 (termine per la conclusione del procedimento), dell’art. 3 (obbligo di motivazione), degli artt. 4,5,6 (responsabile del procedimento), dell’artt. 7,8 (avviso al locatore, quale interessato, dell’avvio del procedimento), dell’art. 9 (facoltà di intervento nel procedimento), dell’art.10 bis (preavviso all’inquilino dell’eventuale rigetto), dell’art. 22 (diritto di accesso agli atti del procedimento per chi vi abbia interesse).
- 5. Il contenzioso e la tutela dei diritti delle parti
I provvedimenti comunali di concessione o rifiuto del contributo, saranno impugnabili unitamente ai presupposti provvedimenti di contenuto generale, dinanzi alla giurisdizione amministrativa. Infatti, quanto alla concessione di contributi, la posizione del richiedente è qualificabile in termini di interesse legittimo con conseguente attribuzione delle controversie alla giurisdizione amministrativa, in quanto il riconoscimento del contributo è subordinato a valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione, così come quando si controverte della esecuzione del provvedimento di concessione. Diversamente le controversie sono attribuite alla giurisdizione ordinaria quando il contributo è attribuito direttamente dalla legge che ne indica i presupposti senza necessità di una loro valutazione da parte del provvedimento di attribuzione, in tal modo attribuendo al richiedente un diritto soggettivo[12], come non sembra si possa affermare nel nostro caso data la estesa discrezionalità nella determinazione delle regole e nella valutazione dei presupposti del contributo, attribuita dal decreto-legge al decreto ministeriale attuativo e da questo ai Comuni.
Gli interessati alle eventuali contestazioni dovranno essere individuati in relazione alle fattispecie: di regola sarà il conduttore soggetto a sfratto a vantare interesse alla contestazione dei provvedimenti di rifiuto del contributo (o di minore importo rispetto a quanto richiesto), mentre sarà il locatore a doversi dolere della illegittima concessione del contributo, che è presupposto per l’inserimento dello sfratto nella programmazione prefettizia. Ma non si può escludere anche un interesse del locatore, destinatario sostanziale del contributo, alla contestazione del provvedimento di rifiuto.
- 6. La graduazione programmata dell’intervenuto della forza pubblica
L’art. 6 del decreto ministeriale dispone che i Comuni dovranno comunicare alla Prefetture l’elenco di coloro che hanno ricevuto il contributo agli effetti dell’ulteriore beneficio della graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica, con disposizione che si riferisce a tutti i casi di concessione del contributo, e quindi non soltanto ai conduttori di cui all’art. 5 lett. c) che abbiano ottenuto il rinvio dello sfratto con il consenso dei locatori, ma anche a quelli di cui alle lett. a) e b) che abbiano stipulato o dovessero stipulare un nuovo contratto, i cui effetti iniziali potrebbero non essere sincronizzati con i tempi, già stabiliti, dell’esecuzione forzata. Restano da determinare il significato della graduazione programmata della assistenza della forza pubblica, e quindi il contenuto dei poteri dei Prefetti a tale riguardo.
Intanto anche i Prefetti dovranno regolamentare, in generale e con provvedimenti pubblici, la programmazione della assistenza della forza pubblica, che non potrà non coincidere con il mero ordine cronologico delle pronunce giurisdizionali di morosità o delle richieste di esecuzione, e quindi potrà attribuire rilievo differenziato e sempre in generale, per esempio, alle esigenze del locatore, alla gravità ed alla durata della morosità, all’importo del contribuito, alla condizione personale e familiare dell’inquilino, alla concomitanza dello sfratto con eventi di interesse generale (festività natalizie, consultazioni elettorali, calamità naturali, eventi sportivi e simili). Il D.L. n. 102/2014 ed il decreto ministeriale parlano infatti di graduazione programmata dell’interveto della forza pubblica, e l’art. 6 del decreto ministeriale prevede l’invio da parte dei Comuni a Prefetti dell’elenco degli inquilini che abbiano i requisiti per ottenere il contributo e quindi ancora prima di averlo effettivamente ottenuto (è comunque ipotizzabile la revoca nel caso di mancata concessione), allo scopo di fornire al prefetto i dati necessari per la programmazione, nel tempo, della assistenza della forza pubblica. La programmazione avverrà con uno o più provvedimenti di portata generale che, derogando al principio della precedenza cronologica della richieste, consenta agli uffici competenti alla esecuzione degli sfratti di prevedere quando la forza pubblica sarà effettivamente disponibile e di regolare così le diverse richieste di esecuzione forzata. Dunque la programmazione implica la formazione di un programma che distribuisca nel tempo la presenza della forza pubblica, senza valutazione, caso per caso, delle richieste di sfratto e senza la distribuzione nel tempo degli interventi della forza pubblica in risposta alle specifiche richieste di esecuzione che competono all’ufficiale giudiziario, sotto il controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 610 c.p.c.
Questa, per altro, è l’unica lettura delle norme del decreto legge e del decreto ministeriale che sia compatibile con il principio di rango costituzionale della indipendenza del potere giudiziario e della non ingerenza della autorità amministrativa nei procedimenti giurisdizionali, considerato che il procedimento esecutivo è strumento giurisdizionale di tutela dei diritti, e che la forza pubblica necessaria per la attuazione del decisum giurisdizionale, dipende dall’ausiliario del giudice (nel caso, l’ufficiale giudiziario), che ha l’esclusivo potere di richiederne l’intervento (art. 475 c.p.c.).[13]
In proposito già il D.L. 30 dicembre 1988 n. 551, l’art. 3 comma 1, aveva disposto che “ Ai fini dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione. di cui all’art. 1, [dal 1° maggio 1989] l’assistenza della forza pubblica avverrà secondo criteri stabiliti dal prefetto, in relazione a quanto indicato dalla commissione di cui all’art. 4”. Ed il legislatore aveva ritenuto di comporre gli inevitabili contrasti sorti nella prassi degli uffici e nella giurisprudenza, fornendo una interpretazione autentica della norma che precede con l’art. 1 bis del D.L. n. 142/1997, secondo il quale “1. Le disposizioni degli articoli 3 e 5 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, devono intendersi nel senso che al prefetto è attribuita la potestà, oltre che di fissare criteri generali per l’impiego della forza pubblica nell’esecuzione di tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili urbani ad uso di abitazione, con esclusione soltanto di quelli non aventi origine da rapporti di locazione, anche di determinare puntualmente i tempi e le modalità della concessione della medesima, in correlazione con le situazioni di volta in volta emergenti, anche in deroga all’ordine di presentazione delle richieste dell’ufficiale giudiziario.
2. Le commissioni prefettizie di cui all’articolo 4 del decreto-legge 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, forniscono pareri su criteri generali per l’impiego della forza pubblica esclusa qualsiasi decisione sui singoli casi di richiesta della medesima, che rimane esclusiva competenza dei prefetti.”
L’articolo, tuttavia, come autenticamente interpretato, veniva dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza 24 luglio 1998, n. 321 nella parte in cui la norma consentiva al prefetto di determinare il differimento della singola esecuzione forzata. La Corte ha affermato in tale sentenza principi tuttora pertinenti, secondo i quali “Si tratta di un intervento (quello del prefetto, ndr.) che giunge a determinare un sostanziale differimento amministrativo della singola esecuzione forzata, incidendo in tal modo sul principio costituzionale della tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive. Difatti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24, primo comma, Cost.) comprende la fase dell’esecuzione forzata, la quale è diretta a rendere effettiva l’attuazione dei provvedimenti giurisdizionali, che non può essere elusa o condizionata da valutazioni amministrative di opportunità.”
Sembra dunque che il potere di “adozione delle misure di graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto” (art.6 del decreto ministeriale del 14 maggio 2014) in attuazione dell’art. 6 comma 5 del D.L. n. 102/2013, non sia diverso dal potere attribuito ai prefetti dall’art. 3 comma 1 D.L. n. 551/1988 come interpretato autenticamente dall’art. 1 bis del D.L. n. 142/1997, a norma del quale i prefetti hanno la facoltà di ingerirsi dei singoli procedimenti esecutivi, caduto sotto la censura della Corte Costituzionale.
E’ ovvio che il decreto ministeriale, come atto privo di forza di legge, non sarà soggetto al sindacato della Corte Costituzionale, ma la questione relativa al contenuto dei poteri dei prefetti potrà trovare soluzione nella interpretazione costituzionalmente orientata del decreto ministeriale e dell’art. 6 comma 5 D.L. n. 102/2013 in conformità al dictum della sentenza della Corte Costituzionale n. 321/1998; ovvero nella disapplicazione da parte del giudice ordinario del decreto ministeriale e del provvedimento prefettizio di programmazione di una specifica esecuzione forzata, qualora ritenuti in contrasto, come sembra, con la norma primaria del decreto legge n. 102/2013, interpretata secundum costitutionem. Né si può escludere una sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale, nel presupposto della possibilità di interpretazione dell’art. 6 comma 5 del decreto legge e dei provvedimenti attuativi, in conformità dei principi affermati nella sua precedente sentenza n. 321/1998.
Nino Scripelliti
[1] Si può, per semplicità, datare al 1988 l’inizio degli interventi legislativi sui procedimenti esecutivi, con il D.L. 30, dicembre 1988, n. 55, convertito con modificazioni in legge 21 febbraio 1989, n. 61 – Misure urgenti per fronteggiare l’eccezionale carenza di disponibilità abitative (in particolare, l’art. 3:
“ 1. Ai fini dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione. di cui all’art. 1, [dal 1° maggio 1989] l’assistenza della forza pubblica avverrà secondo criteri stabiliti dal prefetto, in relazione a quanto indicato dalla commissione di cui all’art. 4.
2. Nell’ambito dei criteri di cui al comma 1 dovrà essere data la priorità alle esecuzioni dei titoli relativi ai casi indicati dall’art. 2, nonché alle esecuzioni dei titoli per i quali non è disposta la sospensione.” (articolo abrogato dall’articolo 14, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431).”
[2] Art. 2 comma 2 , D.L. n. 551/1988 ed art. 6 comm1 3 e segg. legge n. 431/1998.
[3] Il differimento, sistematico e non occasionale, dei procedimenti esecutivi per finita locazione (quindi non per morosità) è dimostrato dalla sequenza dei provvedimenti di proroga aventi effetti generali, e successivamente limitati in favore di categorie di conduttori particolarmente svantaggiati. Si inizia dall’art. 80, comma 22 della legge n. 388 del 2000 e con l’art. 1 del decreto-legge 2 luglio 2001, n. 247 convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2001, n. 332; seguiti dalla sospensione di cui al d.l. n. 450 del 2001, convertito, con modificazioni, con legge n. 14 del 2002, prorogata fino al 30 giugno 2003 dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 122 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 185 del 2002. Segue la sospensione disposta dal decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147, convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 200, che ha differito al 30 giugno 2004 il termine; seguono il decreto-legge 27 maggio 2005, n. 86, convertito, con modificazioni, nella legge 26 luglio 2005, n. 148. A partire dalla legge 8 febbraio 2007 n. 9 (art. 1, comma 6), la sospensione concerne “le esecuzioni dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni, nei confronti di conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 curo, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza”, le cui disposizioni sono state in vigore per successive proroghe fino al 31 dicembre 2014, ex D.L. n. 150/2013 (altrimenti detto milleproroghe) ed attualmente fino al 30 aprile 2015 come disposto dalla legge di conversione del successivo milleproroghe (D.L.31 dicembre 2014 n. 192. Secondo la legge n. 9/2007 (art. 1, comma 6) la sospensione non opera quando il locatore si trovi nelle stesse condizioni dell’inquilino o quando abbia necessità di disporre della abitazione. Da notare che si tratta di sospensione che non comprende gli sfratti per morosità (anzi la morosità è motivo di decadenza dal beneficio). Resta fermo il differimento disposto dall’artt. 6 della legge n. 431/1998.
[4] Quella di locazione di fatto è espressione risalente in giurisprudenza (per esempio, Corte Costituzionale, 24 gennaio 1989, n. 22), ma ora ammessa al lessico legislativo dall’art. 13 comma 5 legge n. 431/1998 per designare il rapporto di locazione sorto da un contratto nullo per difetto di forma scritta, ma che ha avuto egualmente esecuzione convertibile, a richiesta del conduttore, in un ordinario rapporto contrattuale. .
[5] Corte Costituzionale, 7 ottobre 2003, n. 310,
[6] Per una completa rassegna della dottrina in tema di responsabilità per inadempimento alle obbligazioni contrattuali, Paolo Fais, Diligenza e colpa nella responsabilità contrattuale in “Filodiritto”: http://www.filodiritto.com, 2009, e www.dirittoepiemonte.it
[7] cfr. P. Fais, cit., e Daniele Minussi, La prova liberatoria del debitore in “WikiJus”: http://www.e-glossa.it, 2011, .
[8] Sul punto Daniele Minussi, Obbligazioni pecuniarie, responsabilità per inadempimento in “WikiJus”: http://www.e-glossa.it, 2010. , ove si ricorda il risalente principio secondo il quale genus nunquam perit, onde si configura, in astratto, l’impossibilità di adempimento di una obbligazione pecuniaria solo nel caso di scomparsa della valuta oggetto della obbligazione (ma anche in tale caso, di scuola, norme speciali dispongano la automatica conversione della valuta cessata in quella vigente, come è accaduto nel passaggio all’euro).
[9] Bisogna anche riconoscere che principi analoghi a quelli della morosità incolpevole si trovano affermati in giurisprudenza con riferimento ad obbligazioni presidiate da sanzioni penali, e quindi ben più cogenti di quella del pagamento del canone. Infatti fanno notizia sui media i proscioglimenti di imprenditori in stato di insolvenza, quali sostituti di imposta, per i mancati versamenti di ritenute certificate, e quindi per un inadempimento ritenuto incolpevole ad una obbligazione tributaria. (Tribunale Novara, 20 marzo 2013; Ufficio Indagini preliminari Milano, 7 gennaio 2013; contra, la unanime giurisprudenza di legittimità).
[10] Obligatio est iuris vinculum quo, necessitate, adstringimur alicuius solvendae rei, secundum nostrae civitatis iura.
[11] La chiarezza delle norme non si avvantaggia dal passaggio continuo da parte del linguaggio della politica, del confine con il linguaggio del diritto.
[12] In generare, giurisprudenza costante: ex plurimis, Cass. sentenze nn. 2001/66, 2003/5617, 2005/21000, 2006/16896, 2007/117, 2009/6960.
[13] In termini: “L’autorità amministrativa richiesta di concorrere con la forza pubblica all’esecuzione del comando contenuto nel titolo esecutivo di sfratto per finita locazione ha il dovere primario di prestare i mezzi per l’attuazione, in concreto, della funzione giurisdizionale per la tutela del diritto soggettivo leso e costituzionalmente protetto dall’art. 24 cost., per cui risponde dei danni conseguenti alla mancata assistenza, salvo la prova dell’impossibilità dell’adempimento dovuto, da valutarsi in relazione: 1) all’eventuale indicazione di date alternative (diverse da quelle stabilite dall’ufficiale giudiziario) per l’esecuzione assistita; 2) al numero delle volte in cui l’assistenza sia stata infruttuosamente richiesta; 3) alla genericità o puntualità dei singoli motivi di diniego, risultando, comunque, manifestamente inammissibile l’allegazione della prevalenza d’interesse, su quello dello sfratto, di generiche esigenze di ordine pubblico, secondo una valutazione discrezionale dell’autorità.” (Cassazione civile, sez. III, 26 febbraio 2004, n. 3873); Corte appello Firenze, 11 luglio 2007, n. 1244.