LOCAZIONE AD EXTRACOMUNITARIA

Nel 1997 detti in affitto un immobile per un periodo di un anno a due signore, una italiana ed una extracomunitaria. Dopo qualche tempo l’italiana se ne andò lasciando nella abitazione la seconda, la quale si rivolse ad un patronato di inquilini che tramite l’avvocato invocò l’equo canone. Eppure questa, a mio parere, era inadempiente perché non aveva rilasciato l’immobile alla scadenza contrattuale, non aveva rispettato alcuna puntualità nei pagamenti, non aveva mai pagato l’aggiornamento ISTAT, aveva addirittura portato contro la mia volontà un cane in casa. Allora mi rivolsi io all’avvocato il quale ha avuto un comportamento abbastanza indeciso e si è dimenticato di dare la disdetta. Iniziata la causa ancora non abbiamo concluso praticamente nulla. Cosa posso fare?

 

Quello che si è verificato nel caso, è la pura e semplice conseguenza di leggi che nel 1997 erano in vigore da almeno quasi venti anni (mi riferisco infatti alla legge dell’equo canone che è del 1978) e che, per quanto rigettate dal costume e dalla comunità dei cittadini, tuttavia dovevano essere ben note, né mai come in questo caso, il principio che la legge non tollera l’ignoranza, mi sembra giustamente applicato. E difatti nel 1997, quindi ben prima che fosse applicata la riforma delle locazioni di cui alla legge n.431/1998 che avrebbe abrogato la legge sull’equo canone, vigeva pienamente questa ultima con possibilità di stipulare contratti in deroga a determinate condizioni. E’ inutile dire che tali condizioni non esistono nemmeno in minima parte nel caso esposto, con la conseguenza che, essendo evidente la necessità abitativa primaria delle due inquiline ed essendo evidente che il contratto doveva essere stipulato secondo la legge allora vigente, appare del tutto inutile affermare che le intese tra le parti erano diverse, che il locatore si fidava e che era perfettamente in buona fede, che le due inquiline (poi rimasta una sola), lo hanno indotto in errore, infine che l’inquilina rimasta per ultima non è cittadina italiana: si tratta in breve di elementi di fatto che con riferimento alle norme che disciplinano il caso, non hanno il minimo rilievo. In conclusione, il contratto sorto nel 1997 ha avuto durata iniziale quadriennale e quindi è scaduto nel 1991. Se per tale data il locatore si è dimenticato di comunicare disdetta, la prossima scadenza sarà il 2005, per la quale la disdetta può essere tuttora data. Fino a che l’immobile non sarà rilasciato, è tuttora dovuto l’equo canone. Ulteriore conseguenza è che non si può parlare di inadempienza dell’inquilina per non aver lasciato la casa alla scadenza pattuita, perché tale scadenza è stata automaticamente sostituita da quella quadriennale prevista dalla legge; che eventuali ritardi nel pagamento del canone possono giustificare lo sfratto per morosità quando superino di venti giorni la scadenza prevista (art.5 della legge n.392/1978); che il mancato pagamento degli aggiornamenti ISTAT può essere ugualmente contestato mediante sfratto per morosità; ed infine che avere portato con sé in casa un cane non è fatto che possa ragionevolmente costituire motivo di inadempimento, nemmeno se questo fosse stato previsto espressamente nel contratto (sarebbe stato necessario che il contratto avesse espressamente previsto questa ipotesi come motivo di risoluzione, ma anche in questo caso la clausola contrattuale deve avere un minimo di giustificazione sostanziale e rispondere ad un interesse plausibile del locatore, poiché altrimenti potrebbe essere considerata come determinata da finalità vessatorie nei confronti del conduttore ed, a mio parere, non essere efficace).

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