PROVA DEL RISARCIMENTO DEI DANNNI IN CASO DI RITARDO NELLO SFRATTO

TRIBUNALE DI FIRENZE – Sez. II, 2 maggio 2003. Est. Costantino – Vangelisti c. Butelli – tribunale di firenze – Sezz. II, 2 maggio 2003. Est. Costantino – Vangelisti c. Butelli

 

TRIBUNALE DI FIRENZE

Sez. II, 2 maggio 2003. Est. Costantino – Vangelisti c. Butelli

Restituzione della cosa locata – Ritardo – Maggior danno ex art. 1591 c.c. – Risarcimento – Prova – Esistenza di precise proposte – Necessità – Esclusione.

In tema di risarcimento da ritardato rilascio dell’immobile locato, il maggior danno ex art. 1591 c.c. presuppone l’accertamento in concreto di una lesione effettiva del patrimonio del locatore, la cui dimostrazione non esige – in via necessaria ed esclusiva – la prova dell’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri concreti propositi di utilizzazione. Al contrario, il giudice deve quantificare – operando una valutazione complessiva, anche-equitativa, delle risultanze istruttorie – il valore patrimoniale della disponibilità dell’immobile sottratta al locatore per il tempo in cui si è protratta la mora nel rilascio. (C.c., art. 1591).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con ricorso depositato il 9 ottobre 2001 il signor Bruno Vangelisti – premesso di esser proprietario di un appartamento posto in Firenze, via Matteo Galdi 9, condotto u locazione dalla signora Ombretta Butelli – riferiva di aver ottenuto sentenza di accertamento della fine locazione al 17 novembre 2000 e lamentava che la conduttrice, sebbene la data del-rilascio fosse stata giudizialmente fissata per il 17 maggio 2001, non aveva provveduto a tale rilascio.

Il Vangelisti quindi assumeva di aver diritto alla differenza tra il canone ricavabile dall’immobile (stimabile in circa 2 milioni di lire al mese) e quello pagato-dalla conduttrice stessa (pari a lire 181.511, come giudizialmente stabilito in altra sentenza che, definendo un precedente giudizio instaurato dalla conduttrice, aveva determinato l’equo canone e dichiarato nulla la clausola contrattuale che stabiliva la misura del canone in lire 1.300.000 al mese).

Il ricorrente quindi conveniva in giudizio la Butelli per sentirla condannare a risarcire il danno da ritardato rilascio del quartiere de quo, da liquidare nella somma mensile di lire 1.800.000 (o la diversa di giustizia) per tutti i mesi dal 17 novembre 2000 al rilascio; oltre interessi e rivalutazione. Vinte le spese.

Si costituiva la convenuta rilevando come il ricorrente non avesse offerto alcuna prova del danno che assumeva essergli derivato dal ritardato rilascio e concludendo per il rigetto della domanda. .

Le parti non chiedevano prove orali e la causa, istruita per documenti, veniva oggi decisa come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE. – In linea di fatto va preliminarmente osservato che la sentenza n. 1416/99 di questo tribunale (doc. 3 fasc. att.) ha accertato la scadenza della locazione al 17 novembre 2000 ed ha fissato l’esecuzione del rilascio al 17 maggio 2001.

Pertanto la Butelli è in mora nella restituzione del bene locato fin dal 17 novembre 2000, dì della cessazione del rapporto (vedi Cass. n. 10560 del 19 luglio 2002); da tale data, pertanto, ella è tenuta – oltre che a pagare il corrispettivo contrattuale – a risarcire il maggior danno ex art. 1591 C.C.

 

Peraltro, in forza del disposto dell’art. 6 L. 431/98, come risultante dall’intervento di Corte cost. 482/2000, fino alla data del rilascio fissata dal giudice ex art. 56 L. 392/78 il maggior danno è presunto e, al contempo, è legalmente predetenninato nella misura del 20% del canone mensile; tale norma opera cioè nel senso, per un verso di sollevare il locatore dalla prova del maggior danno fino alla misura corrispondente a) 20% del canone contrattuale e, per altro verso, di limitare in tale misura il danna risarcibile. Per il periodo successivo alla data fissata per l’esecuzione di rilascio, invece, non opera alcuna presunzione in ordine alla sussistenza né alcuna limitazione in ordine alla liquidazione del danno risarcibile.

Vedi, per questa ricostruzione della disciplina, Cass. 15621 del 7 novembre 2001: «In tema di locazione di imnu>bili urbani, la dichiarazione di incostituzionalità in parte qua dell’art_ 6 della legge 431/1998-che, interpretando autenticamente la nonna di cui all’at. 1 bis della legge 67/89_ (a mente della quale, dichiarata la cessazione della locazione, il conduttore, per tutto il periodo di sospensione dell’esecuzione dello sfratto, era tenuto a corrispondere una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto al rnomento della cessazione del contratto maggiorato del quinto, oltre aggiornamento Istat), sanciva, durante i periodi di sospensione della esecuzione degli sfratti, l’obbligo del conduttore di corrispondere la somma di cui al citato art. 1 bi.s, e non altra diversa, per tutto il periodo effettivo di so.,-pensione (e, dunque, fino all’effettivo rilascio, e non soltanto limitatamente al periodo di sospensione ope legis, a prescindere dall’eventuale maggior danno sofferto dal locatore) – comporta che, a tutt’oggi, il sistema normativo vioente in tema di quantificazione legale del danno subito dal locatore per il periodo intercorrente tra la data della sentenza di rilascio dell’immobile e quella dell’effettiva riappropriazíone del bene risulta così delineato: 1) la quantificazione legale del danno che il conduttore è comunque tenuto a corrispondere al locatore ai sensi dell’art. 1591 c,c. è quella determinati con la prevista maggiorazione del canone nella misura del quinto oltre aggiornamenti cd oneri accessori; 2) detto importo è astrattamente dovuto per tutto il periodo di sospensione delle esecuzioni c sino all’effettivo rilascio; 3) pér il periodo sino al termine della sospensione ope legis delle esecuzioni (o per quello giudizialmente Fissato per il rilascio, ex art. 56 legge 392/78), la corresponsione dell’ultirno canone così maggiorato esime il conduttore dall’obbligo di risarcire il maggior danno ex art. 1591 seconda parte c.c., pur in costanza dì prova dell’esistenza di un più grave pregiudizio fornita dal locatore; 4) per il periodo intercorrente tra la scadenza della sospensione ope legis e la data dell’effettivo rilascio, il locatore (giusta sentenza della Corte costituzionale 482/2000), ove ne abbia offerto la prova, può pretendere il risarcimento del maggior darmo subito, rispetto a quello quantificato ex lege ex art. 1 bis legge 61/89>?. Nello stesso senso, Cass. 10390 del 30 luAio 2001.

Così definiti i tertnini della controversia, si rileva che per il periodo dal 17 novembre 2000 (dì della cessazione del rapporto) al 17 maggio 2001 (data fissata dal giudice per il rilascio) il credito risarcitorio del Vangelistì (che, proprio per la sua natura risarcitoria, è dovuto indipendentemente da qualunque richiesta in corso di rapporto. Cfr. Cass. 12527/00) va liquidato in lire (18 1.511 : 5 =) 36302 mensili, per complessive lire 217.813 per l’intero semestre.

Dal 17 maggio 2001 in poi – ossia fino al 23 maggio 2002, data del rilascio effettivo – il credito risarcitorio va invece liquidato senza alcun ancoraggio a parametri legalmente predetenninàti e, quindi, secondo i prìncipi generali in materia di risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale. In tale periodo, infatti, parte convenuta non ha fruito di alcuna sospensione ex lege dell’esecuzione; essa comunque non ha dedotto (né quindi provato) il possesso delle condizioni legittimanti la fruizione della sospensione di cui all’art. 80 L. 388/2000 e. successive proroghe.

In ordine alla quantificazione del danno, parte convenuta assume che, non avendo l’attore provato di aver ricevuto proposte di locazione dell’immobile per il tempo per cui si è protratta la mora nel rilascio, nessun danno potrebbe esser liquidato in suo favore. In proposito la difesa della convenuta richiama il consolidato indirizzo di legittimità, secondo cui «II maggior danno che il locatore assuma di aver subito per effetto della morosità del conduttore e del mancato, intempestivo rilascio dell’immobile locato (art. 1591 c.c.) scaturendo da una fonte di responsabilità ex contracne, va r7gorosamente provato, nella sua sussistenza e nel suo concreto arrtmontare, dal locatore medesimo, sul presupposto che l’obbligo risarcitorio non sorge automaticamente; in base al valore locativo presumibilmente ricavabile dalla astratta configurabilità della ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizionì e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzazione, onde far emergere il verificarsi di una lesione effettiva nel patrimonio del locatore, ravvisabile nella circostanza del non aver potuto locare o alienare il bene a condizioni vantaggiose, e dimostrabile attraverso la prova dell’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione» (così Cass. 4864/2000, conf. Cass. 1645/2000, Cass. 1133/99, Cass. 496$/97 cd altre).

Osserva al riguardo il giudicante che se è indubbiamente condivisibile l’affermazione secondo cui la liquidazione del maggior danno ex art. 1591 c.c. presuppone l’accertamento in concreto di una lesione effettiva del patrimonio del locatore, non altrettanto condivisibile appare l’ulteriore affermazione (contenuta nella massima sopra trascritta e nelle altre citate) secondo la quale tale lesione potrebbe dimostrarsi solo attraverso la «prova dell’esistenza dì ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri concreti propositi di utilizzazione».

Tale affermazione offre il fianco, ad avviso di questo giudice; a due ordini di critiche.

Sotto un primo riguardo, si osserva che l’assunto secondo cui il danno da ritardato rilascio può essere dimostrato solo attraverso la prova di offerte contrattuali relative al bene locato finisce con l’addossare al locatore che intendesse locare nuovamente l’immobile (dunque non venderlo, né occuparlo in proprio) un onere probatorio sostanzialmente diabolico. È infatti evidente che, fino a quando un immobile è occupato, esso non può concretamente essere immesso sul mercato locatizio c, dunque, non può formare oggetto di concrete proposte di locazione. Tale onere probatorio, peraltro, risulta tanto gravoso in teoria quanto facilrnente eludibile nella pratica, essendo di fatto impossibile accertare il mendacio di un eventuale teste compiacente che dichiari che a suo tempo aveva offerto di prendere in locazione 1’imntòbile per una cifra corrispondente ai valori correnti sul mercato.

I’ argomento fin quindi svolto non è di per se stesso dirimente, giacché la possibilità di talune distorsioni della pratica giudiziaria non potrebbe costituire l’unica, né la prevalente, ragione per orientare in un senso o in un altro l’interpretazione della legge; tale argomento è però utile perché consente di mettere in piena luce quello che, ad avviso di chi scrive, è il reale punto di debolezza della tesi che qui si contrasta: ossia la qualificazione del danno da ritardato rilascio come lucro cessante invece che come danno emergente.

Sul punto occorre sottolineare che il valore di utilizzazione diretta o indiretta di un bene- ossia il valore d’uso che si può ritrarre dal suo godimento diretto, o il valore di scambio che si può ritrarre dalla cessione di tale godimento a terzi – costituisce di per se un valore patrimoniale, ossia una posta attiva del patrimonio di chi dispone (rectiu.r: ha il diritto di disporre) del bene; nessuno ha mai dubitato, del resto, che la titolarità attiva di un rapporto personale o reale di godimento costituisca una componente economicamente valutabile del patrimonio del titolare. Se si concorda con tale premessa, risulta consequenziale affermare che la privazione, anche temporanea, della disponibilità di un bene rappresenta di per se stessa una lesione patrimoniale, ossia un danno (qualificabile come danno emergente, o perdita, per usare l’espressione dell’art. 1223 c.c.), del titolare del bene stesso.

La quantificazione di tale danno potrà essere più o meno difficile ed opinabile ed alla stessa si dovrà eventualmente giungere con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. Ma non v’è ragione di negare la risarcibilità della perdita della disponibilità temporanea del bene nei casi in cui non sia provato in qual modo il suo titolare avrebbe usato di tale disponibilità. .

Nessuno, del resto, ha mai dubitato del fatto che il proprietario di un veicolo incidentato abbia diritto al risarcimento del c.d. «fermo macchina» (ossia ad un risarcimento liquídato equitativamente per il tempo in cui la macchina è rimasta in officina per l’effettuazione delle riparazioni), senza che mai, ai fini di tale risarcimento, venga richiesto di provare che il veicolo sarebbe stato affittato a terzi per i giorni di fermo.

Ed anche in materia di immobili la Cassazione ha più volte affermato che, in caso di occupazione senza titolo, il danno è in re ipsa (vedi Cass. 1373/99: «In caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus cd all’impossibilità – per costui — di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere – in tali ipotesi – operata, dal giudice, facendo riferimento al cosiddetto danno «figurativo», e-quindi – al valore locativo del cespite usurpato»; nello stesso senso Cass. 2859/95).

Con riferimento all’art. 1591, tuttavia, si afferma che la necessità che il danno da ritardato rilascio venga provato mediante la dimostrazione processuale di più vantaggiose offerte di utilizzo del bene discenderebbe dalla natura contrattuale della responsabilità in questione.

Tale argomento tuttavia non è, neppure esso, convincente, posto che, quanto alla determinazione del danno risarcibile, l’unica differenza tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale concerne la prevedibilità del danno (non operando in materia extracontrattuale la dispo

sizione di cui all’art. 1225 c.c.); ed è indubbio che, al momento della insorgenza della obbligazione contrattuale di rilascio in capo al conduttore, quest’ultimo è perfettamente in grado di prevedere che dal suo inadempimento a tale obbligazione il locatore riceverà il danno da perdita di disponibilità dell’immobile e che la valutazione patrimoniale di detta perdita di disponibilità sarà rapportabile al valore locativo dell’immobile; valore che, per le situazioni in cui la mora nel rilascio decorra da epoca successiva all’entrata in vigore della legge 431/98, sarà quello espresso da nn mercato non più soggetto ad una disciplina vincolistica del canone_

Del resto la stessa Cassazione ebbe ad afferamre che «II mancato godimento di immobili, per ritardo nella consegna di essi rispetto al termine pattuito nell’atto del trasferimento costituisce di per sè un danno, indipendentemente dall’uso al quale si intendeva destinare gli immobili stessi. In tal caso è quindi consentito al giudice di merito di procedere alla liquidazione del danno anzidetto sulla base del valore locativo degli immobili» (Cass. 1702/81).

Non v’è ragione per cui tale principio debba valere in tenia di inadempimento alla obbligazione di consegna derivante da un contratto di compravendita e non in tema di inadempimento alla obbligazione di consegna derivante da un contratto di locazione.

In definitiva si deve quindi respingere l’assunto secondo cui il danno da ritardato rilascio può esser liquidato solo se il locatore offre la prova concreta di aver ricevuto più vantaggiose proposte di locazione; il giudice deve invece quantificare, operando una valutazione complessiva, anche equítativa, delle risltanze istruttorie, il valore patrimoniale della disponibilità dell’immobile sottratta al locatore per il tempo in cui si è protratta la mora nel rilascio.

Calando questi principi nella fattispecie dedotta nel presente giudizio, si osserva come sia pacifico che già nel 1996 l’immobile de quo fu preso in locazione dalla stessa odierna convenuta per lire 1.300.000; considerato che la conduttrice esercita professionalmente l’attività di agente immobiliare, può presumersi che all’epoca tale prezzo corrispondesse all’obiettivo valore di scambio del godimento dell’immobile. È peraltro del tutto evidente che tale valore non può che essere cresciuto dal 1996 al 2001, tenuto conto del notorio aumento dei valori immobiliari in Firenze. Risulta pertanto certamente prudenziale, per il pregio della zona dove l’immobile si trova (nei pressi di via Faentina), per la presenza di un giardino, per il fatto che l’appartamento viene fornito ar-redato – stimare nella medesima somma di lire 1.300.000 al mese il valore locativo dell’immobile de quo per il periodo dal maggio 2001 in poi (per la rilevanza da attribuire, ai fini della prova del danno da ritardato rilascio, alle valutazioni operate dalle stesse parti, ove coerenti con le caratteristiche oggettive del bene, vedi Cass. 1032/96).

Il maggior danno subito dal Vangelisti per il periodo dal maggio 2001 e fino al rilascio va pertanto liquidato in lire 1.300.000 – 1.120.000 x 12 mesi =1ire 13.440.000; aggiungendo a tale importo la somma di lire 217.813 dovuta per i mesi dal novembre 2000 al maggio 2001, si perviene alla somma complessiva di lire 13.657.813, pari ad euro 7.0_53,67.

La convenuta va quindi condannata a_pagarc all’attore detta somma, aumentata della rivalutazione (trattandosi di credito di valore) e degli interessi legali (sulla somma non rivalutata), da calcolare sui singoli importi mensili (lire 36.302, pari ad curo 18,74, da novembre 2000 a maggio

2001 e lire 1.120.000 da giugno 2001 a maggio 2002) dalla cui sommatoria essa è risultata, con decorrenza da ciascuna di tali inensilità al saldo.

Le spese si compensano, in considerazione dei discordanti precedenti di legittimità. (Omissis).

RISARCIMENTO EX ARI’. 1591 C.C.: EPPUR S[ MUOVE QUALCHE VOLTA, LA GIURISPRUDENZA, NELLA GIUSTA DIREZIONE

1. = 11 dibattito nell’ultimo decennio, in dottrina ed in giurisprudenza, sulla applicazione dell’art. 1591 c.c. in relazione, prima, con l’art. 1 bis D.L. n. 551/1988 (convertito con legge n. 61/1989) poi con l’art. 6 comma f della legge n. 431/1998, si trova nella fase discendente di quella curva che sovente caratterizza le questioni giuridiche, le quali risentono dello stato di quel settore della vita reale disciplinato dalla leggc la cui applicazione è controversa, e quindi sorgono, hanno un picco di interesse e successivamente possono entrare in una fase calante: o perché l’incertezza si è dissolta sia pure con i tempi della giurisprudenza, o. perché nella vita reale la conflittualità e quindi il contenzioso sono cessati e si sono attenuati. Così accade per le locazioni abitative, ove per effetto della nuova disciplina il contenzioso si è drasticamente ridotto, mentre l’eliminazione del canone legale (rectius, politico) e l’introduzione progressiva dei canoni di mercato, va riducendo col passare del tempo quel divario tra l’indennità di occupazione basata, negli anni passati, sull’equo canone, ed il canone di mercato ora pienamente ripristinato.

‘__ – Nel contenzioso sulla applicazione dell’art. 1591 c.c., si possono quindi distinguere, con la dovuta appzossinnazione, tre fasi: la prima, fino all’entrata in vigore dell’art. 1 I del D.I_. n_ 333/I992 (convertito con legge n. 359/7992) che introdusse i patti in deroga, in quanto durante il vi-ore – del canone legale non era nemmeno possibile per il locatore ipotizzare l’esistenza di un danno risarcibile a causa della mancanza di un riferimento anche indiretto al canone di mercato; la seconda fase caratterizzata dai patti in deroga e quindi dal ripristino graduale del mercato delle locazioni, rafforzato dalla entrata in vi-ore della legge n. 43l/1998 (fase nella quale permangono gli effetti dell’equo canone nella determinazione della indennità di occupazione ex art. 14 connna 5, per tutti i rapporti in corso alla entrata in vi-ore della nuova legge); ed infine, la terza e conclusiva fase che ha avuto inizio dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 482 del 9 novembre 2000 (1), che ha rappresentato un fattore decisivo nella sistemazione della questione (2).

3. – Detto questo giusto per un minimo di inquadramento del problema, si può affermare che la sentenza del Tribunale di Firenze che si annota rappresenta prima dì tutto, per correttezza logico-giuridica e rigore argomentatívo, un esempio che si vorrebbe più frequente, dì onestà intellettuale. E ciò nel senso che la sentenza, proprio per il consapevole e motivato dissenso che la ispira rispetto all’orientamento imperante della giurisprudenza di legittimità ed anche di merito. può essere indicata come onesto frutto della indipendenza del- ,indice, intesa, a differenza di quanto sovente accade, non come afferrnazione velleitaria di principi minoritari per il solo gusto di ostentazione di indipendenza (e quindi prima di tutto, il danno del principio, di valore assoluto, della parità di trattamento dì tutti gli utenti del servizio pubblico della giustizia civile da parte della ammini

strazìone, intesa come compelsso organizzato dì tutti gli uffici giudiziari), ma come assunzione della responsabilità della motivazione del dissenso e della confutazione vigorosa e persuasiva di correnti interpretative giurisprudenziali maggioritarie, che per essere consolidate da tempo, assumono valore di diritto vivente e vera e propria forza di legge (3).

4. – Ora, per venire al caso concreto, là sentenza tratta di fattispecie relativa al risarcimento (per responsabilità contrattuale) a carico dell’ex éonduttore inadempiente alla obbligazione dì restituzione dell’immobile nella disponibilità del locatore, e del possibile maggior danno rispetto a quell’ordinamento riconosciuto dall’art. 1591 c.c., che è pari al canone di locazione convertitosi dopo la cessazione della locazione, in indennità di occupazione. Dunque, si tratta del diritto del locatore che inutilmente tenta di ottenere l’esecuzione di uno sfratto nelle zone caratterizzate da tensione abitativa (perché a queste, è bene sottolineare, è limitata la disciplina del D.L. n. 551/1988 e dell’art. 6 della legge n. 431/1998), al risarcimento dei danni conseguenti ai tempi biblici della esecuzione (spesso, ma non sempre, giustificati dalle tensioni sociali conseguenti alla crisi delle locazioni abitative) e che, intuitivamente, il proprietario vorrebbe commisurare alla differenza tra l’indennità di occupazione che spesso; dati i tempi degli sfratti, corrisponde all’equo canone, ed il canone che sarebbe stato.ottenibile dal mercato se l’appartamento fosse stato libero e disponibile per la locazione.

5. – A tale proposito occorre prendere atto che rispetto al riconoscimento di tale diritto, la giurisprudenza ha elevato almeno due distinte barriere, la prima delle quali è costituita dalla applicazione per l’intero periodo di mora da parte del conduttore (dalla scadenza del contratto al rilascio dell’immobile), della maggiorazione forfetaria del 20°l0, originariamente prevista dall’art. 1 bis del D.L. n. 50111988, e considerata come totalmente esaustiva di diritti del locatore (4), a maggior ragione dopo l’entrata in vigore dell’art. 6 comma 6 della legge n. 431/1998 qualificata come norma di interpretazione autentica dell’art. 1 bis del D.L. n. 551/ 1988 e comunque avente efficacia retroattiva (5) e che ha confermato tale maggiorazione fino all’effettivo rilascio dell’immobile. La seconda barriera, se si considera lo specìfico danno subito dal locatore per effetto della perdita del maggior canone che egli avrebbe potuto ottenere se avesse avuto la disponibilità dell’appartamento locato, è rappresentata dalla costante affermazione della giurisprudenza di legittimità e di merito, secondo la quale per la determinazione di tale danno (se lucro cessante o danno emergente, si vedrà nel seguito), non si deve fare riferimento al canone di mercato (o valore locativo) inteso come canone ottenibile se l’appartamento fosse stato offerto alla domanda della pluralità indistinta e indifferenziata dì possibili conduttori, ma si deve invece dimostrare mediante prova rigorosa e specifica, le occasioni di locazione perdute e quindi le proposte di locazione ricevute dal locatore e l’importo dei canoni offerti (6); ancorché, tale modello risarcitorio dell’art. 1591 c.c., non si adatti a risarcire altri tipi di danni che pure il locatore può subire in conseguenza del-la ritardata disponibilità dell’immobile; quali per esempio, la grave riduzione del valore di scambio dell’immobile generalmente riconosciuta in aliquota dal 30 al 40% del valore dell’immobile libero; il mancato soddisfacimento di esigenze abitative personali; i danni da sovraffollamento e disagio abitativo per il locatore che sia costretto a soluzioni abitative inadeguate, anche

morali ed addirittura biologici in caso di ritardo nella formazione di un nuovo nucleo familiare; il danno emergente conseguente al fatto, non infrequente, che il proprietario si trovi quale conduttore di un altro immobile, a pagare un canone superiore a quello che riceve dall’ex conduttore (7). E sia detto per inciso, non si comprende il motivo per il quale a tale sistema di sbarramenti, sia sfuggita la forfetizzazione del risarcimento mediante clausola penale che preveda un risarcimento aggiuntivo oltre il 20%, tant’è che la compatibilità, affermata implicitamente, della penale convenzionale con la limitazione legale del risarcimento, è sintomatica dello scarso rigore giuridico posto a base di quello che abbiamo definito il sistema le due barriere e della applicazione dell’art. 1 bis del D.L. n. SSl/1988 (8).

6. – Ora è da sottolineare il rigore logico con il quale la sentenza che si annota affronta il problema della determinazione del danno e dalla prova della perdita dei canoni di mercato, affermando, in dissenso con giurisprudenza consolidata:

– che la prova delle occasioni di locazione perdute da parte del proprietario, potrà pure essere fornita ma non è serio pretenderla, perché nella generalità dei casi, è evidente che «fino a quando un immobile è occupato esso non può concretamente essere immesso sul mercato locatizio…»;

-che il pregiudizio del proprietario è rappresentato dalla perdita per effetto della indisponibilità dell’immobile, di un elemento già appartenente al suo patrimonio, attuale non meramente potenziale, rappresentato dal valore della utilizzabilità del bene, seppure indiretta, mediante la sua concessione in locazione (9).

Si tratta di affermazioni interamente condivisibili c quanto al percorso argomentativo della sentenza, strettamente connesse. Se infatti si muove dalla corretta lettura del combinato disposto nell’art. 1591 c.c. e dell’art. 6 comma 6 legge n. 431/1998 nel testo conformato in conseguenza dell’intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 482/2000, si perviene ad una prima affermazione in ordine alla inesistenza di limitazioni le-ali del diritto di risarcimento – una volta cassata la sospensione della esecuzione prevista dalle varie le-ci alle quali fa rifertnento il comma 6 dell’art. 6 – onde per il proprietario la perdita del canone di mercato pur rappresentando la tipologia più frequente di danno, è solo uno dei possibili eventi-danni e non esaurisce tutti i possibili pregiudizi, ai quali prima si è fatto cenno, pur nei limiti previsti dall’art. 1223 c.c. e quindi in rapporto di immediatezza con la mancata disponibilità dell’immobile. –

Altro rilievo concerne il nucleo argornentativo della sentenza che attribuisce correttamente al valore locativo dell’immobile la natura di concreto elemento del patrimonio del locatore convertibile in denaro, in ragione della naturale propensione del locatore stesso, a ricavare i frutti che il bene immobile naturalmente può dare (in esatta analogia al principio giurisprudenziale – oltre che a quello del risarcimento del fermo macchina, intelligente paradosso che evidenzia le lacune di certo modo di ragionare – del riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., pari all’interesse che il creditore di una somma di denaro, quale modesto risparmiatore, avrebbe ottenuto dai consueti investimenti) (10). Dunque appare meritevole di condivisione l’affermazione della sentenza secondo la quale il danno subito dal locatore consiste e va individuato non già nella perdita di inesistenti occasioni di locazione e quindi di canoni che nessuno può ragionevolmente avere offerto, ma piuttosto nella perdita di un concreto ed attuale elemento del pa

trimonio rappresentato dalla possibilità di locare, intesa non come perdita di chnnces ipotetiche e di mere eventualità di locazione, ma data la presunzione e la naturale propensione del proprietario alla locazione ed il notorio rapporto tra domanda ed offerta di locazioni, come perdita di un elemento (valore locativo di un bene) del patrimonio del locatore a tutti gli effetti, esattamente quantificabile in denaro: quindi, una sorta di danno futuro, quantificabile ntecliante attualizzazionc o anticipazione di ricavi ordinariamente prevedibili e che assurgono a livello di posta attiva patrimoniale compiutamente esistente. Si tratta di ragionamento certamente ispirato ai principi di valutazione dei beni strumentali inseriti in una organizzazione produttiva (azienda), c 1a cui stima è direttamente influenzata dalle potenzialità di utilizzazione nel ciclo produttivo, onde appare giusto, ancorché superfluo al fine della applicazione dell’art. 1591 c.c., chiedersi se il mancato rilascio incidendo sul valore locativo come elemento presente nel patrimonio del proprietario, riduca il valore del bene generando danno emeraentc e quindi colpendo un elemento attuale del paU-imonio, ovvero incida su futuri ricavi generando lucro cessante; il che può rilevare sul piano della imponibilità tributaria (1 1), ma non su quello della quantificazione del risarcimento (c del resto, conclusivamente, non è forse sulla presunzione di reddito e di utilizzazione come onere del proprietario che si fonda il sisterna della imposizione immobiliare, che assoggetta al tributo diretto il reddito presunto espresso dalla rendita catastale (12)’? E se l’ordinamento presume un reddito per tassarlo, perché non dovrebbe presumerlo, per coerenza, anche in borram par-tem ed in favore del proprietario e per risarcirne la perdita?). Ed inoltre, qualcuno sa spiegare il motivo . per il quale colui che ha subito una occupazione senza titolo di un bene di sua proprietà, debba essere integralmente risarcito a carico del responsabile con riferimento al reddito Figurativo o al valore locativo del bene occupato, e perché l’art. 1591 c.c. impedisca l’applicazione di tale criterio al caso della occupazione successiva -alla scadenza di una locazione’? (13).

Naturalmente, visti i precedenti, non c’è da fare eccessivo affidamento sulla carriera di questa sentenza e sull’esito di eventuali futuri gravami: ma 1’ottimismo della ragione induce a sperare nella correzione di indirizzi giurisprudenziali, a sommesso avviso di cui scrive meritevoli di revisione anche se consolidati.

Nino Scripelliti

(1) In questa Rii ista 2000, 859 c 2001, 53 con nota (MALA). (2) Per una completa disamina dello stato della giurisprudenza e della dottrina sulle diverse questioni in tema di applicazione dell’art. 1591 c.c. e del suo coordinamento con l’art. 1 bis D.L. n. 551/19SS, cfr. nota a Cass. n. 3913/199s cit. (Piombo); e, IZzO. /1 risarcitnento del ntagsior danno per il rilctrlo della riconsegna: quantificazione é litnite temporale della valuta-ione legale tipica prevista per la durata della sospenstone legale dell’esecuzione nelle loca,-,ioni abitatine, nota a Cass. 10 febbraio 1996 n. 1032, Cass. 6 giugno 1995 n. 6359, Cass. .5 giugno 1995 n. 6291, Cass. 27 maggio 1995 n,’ 5927, Cass. 3 aprile 1995 n. 3913, in Ginst civ. 1996, i, 1623; SCRIPELLI1’I, Risarcinurnto dì danni per ritardata restitu_-ione dell’ìrrrnrobile da parte dell’cr.z conduttore: problemi dì cootzlinarnento tra l’art. 1591 c.c. e l’art. 1 bis D.L. rt. 551/1988, nota a Trib. Firenze 76 gennaio 1996, in Azrh. loc. 1996, I, 545; SCRIPELLrI’I, Storia di rana questione controrersa, nota a Cass., sez. III, 5 aprile 1991 n. 3533, in Arclr, loc. 1997, i. 255. Più recenteniente, lZZO, La tenporzmea limitu;ionc dei danno per ritardata restituzione dell’iznmobìlelncato, in Giust. cir. 1999, I, 1584; I77.o,

Locazioni non abitative e risarcimento danni per i1 periodo successivo al regime transitorio della legge n. 392/1978, in Criust. civ. 2()(>U, I, 1067; GIOVE, Danni per ritardato rilascio degli immobili ahitativi gìudìzì in corso e legge n. 431/I998, in Corr giur 1999, 364; SFORZA FOGI.IANt, Legge ti- 431/1998 e corso e rilascio degli immobili: questioni varie, in questa Rivista 1999, 545; SFORZA F (3) Ex nutltis, e tra le ultime: «II maggior danno che il locatore assuma di aver subito per effetto della morosità del conduttore e del mancato, teypestivo rilascio dell’immobile locato (art. 1591 c.c.), scaturendo da una fonte di responsabilità ex contractu, va rigorosamente provato, nella sua sussistenza e nel suo concreto ammontare, dal locatore medesimo, sul presuposto che l’obbligo risarcìtorio non sorge automaticamente, in base al valore locativo presumibilmente ricavabile dall’astratta configurabilità dell’ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzazione, onde far emergere il verificarsi di una lesione effettiva nel patrimonio del locatore, ravvisabile nella circostanza del non aver potuto locare o alienare il bene a condizioni ben precise proposte di locazione o dì acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione» (Cass. civ., sez. fll, 28 gennaio 2002, n. 993, in Gìust_ civ. Mass. 2002, 143, ed in questa Rivista 2002, 739; anche Cass., sez. III, 1 marzo 2000 n_ 2306, in Guida al dir. 18, 2000, p. 69).

(4) «Ai sensi dell’art. 1 bis L. 21 febbraio 1989 n_ 61, il conduttore condannato al rilascio di un immobile adibito ad uso abitativo, è tenuto a corrispondere al locatore la somma mensile pari all’ammontare del canone mensile dovuto alla cessazione del rapporto locativo, cui si applicano gli aggiornamenti previsti dall’art. 24 L. 27 luglio 1978 n. 392, maggiorato del venti per cento per tutta la durata della detenzione fino alla riconsegna effettiva dell’immobile e, quindi, anche dopo la cessazione della sospensione indicata dall’art. 1 n. 1 stessa legge, in quanto con l’espresso riferimento all’art. 1591 c_c. il legislatore ha inteso disciplinare l’identica fattispecie astratta della norma codicistica che riguarda l’intera durata della tirora del conduttore fino all’effettiva riconsegna,>_ (Cass. civ., sez. III, 3-aprile 1995, n. 3913, in Giu.st. civ 7996, 1, 1624 nota I7zo); conforme, Cass. cìv., sez. Ill, 27 maggio 1995, n. 5927, in Giust. civ 1996, I, 1624, nota IZZO_ Ma, anche a prescindere dalla sentenza che si annota. la giurisprudenza di merito ha sempre mostrato una certa propensione per soluzioni intermedie. Così Trib. Firenze, sent. 2 agosto 1999 n_ 894 (in questa Rivista 2000, 466), che distingue tra lucro cessante, coperto dalla forfetizzazione dei 2T,7r, e danno emergente da risarcire integralmente a parte. Ed ancora, per la affennazione del canone di mercato come parametro del risarcimento nel caso di ritardato rilascio di immo

bile non abitativo, anche se con argomenti di non particolare spessore, App. Roma 22 dicembre 1999 n. 3777, in questa Rivista 2000, 925; Trib. Piacenza 11 febbraio 2000 n. 1017, in questa Rivista 2000, 759. In passato, qualche limitata apertura senza seguito, a criteri meno rigidi di prova del danno, in Cass., sez. III, 6 ottobre 1999 n. 11142, in questa Rivista 2000, 599.

(5) «La disposizione di legge di cui al comma 6 dell’art. 6 della L. 9 dicembre 1998 n. 431 – secondo la quale, durante i periodi di sospensione dell’esecuzione e comunque fino al rilascio, il conduttore di immobile adibito ad uso abitativo è tenuto solo alla corresponsione di una somma mensile pari all’ammontare del canone dovuto alla cessazione del contratto, al quale si applicano autornaticamente ogni anno gli aggìorn:mienti in misura pari al settantacinque per cento della variazione Istat, oltre alla maggiorazione di tale ultimo importo del 20, con esonero dall’obbligo di risarcire il maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c. – si applica retroattivamente e, quindi, anche nei giudizi in corso, in quanto essa ha valore dì ìnterpie>tlzione autentica, tesa a chiarire 1’ambito dì operatività delprincipio =della lirnitazione del risarcimento dei danni, in ordine al quale sussistevano interpretazioni giurisprudenziali non uniformi, senza contrastare, peraltro, con la regola di carattere generale di cui al comma S dell’att. 14 L. n. 431/98» (Trib. Milano 29 aprile 1999, in Giust. civ 1999, I, 1835, nota I7z0, in Arch. loc. 1999, 634; conforme, Pret. Bologna 4 maggio 1999. in Arch. loc. 1999, 634).

(6) «La condanna del conduttore in mora nella restituzione dell’immobile locato a1 risarcimento del maggior danno a norma dell’art. 1591 c.c. esige la prova specifica dell’esistenza di tale danno e del suo concreto ammontare. Il relativo onere incombe sul locatore-concedente, il quale deve fornire idonea dimostrazione che, a causa del ritardo nella restituzione della cosa, il suo patrimonio ha subìto una diminuzione – ravvisabile nella circostanza di non aver potuto affittare o vendere l’immobile a condizioni vantaggiose c dimostrabile attraverso la prova dell’esistenza di ben precise proposte d’afftito o di acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione. A tal fine pertanto il locatore non può limitarsi a dedurre, genericamente, che 11 bene locato era suscettibile di impiego tale da garantirgli un risultato economico migliore rispetto al canone orìginarianiente pattuito» (Cass. civ., sez. III, 1 luglio 2002, n. 9545, Giust. civ Mass. 2002, 1147).

(7) Peraltro, fa riferimento anche al danno conseguente alla perdita di occasioni di vendita (ma in fattispecie nella quale, quanto sì può desumere, la domanda del locatore era stata respinta), Cass., sez. IlI, 23 maggio 2002 n. 7546; in questa Rivista 2002, 418.

(8) Cfr. Prct. Firenze 3 aprile 1997, in questa Rivista 1997, 1045.

(9) Sul punto; diffusamente, SCRIPEI,LITI N., Risarcimento dei danni per ritardata restituzione dell’immobile, cit., 558 ss.; SCRII’ELLIT[ N., Storia dì una questione controversa, cit., 257.

(10) Sulla analogica funzione tra art_ 1591 ed art. 1224 c.c., Cass., sez. III, sent. 1 marzo 2000 n. 2306, cìL

(11) Art. 6 D.PR. 22 dicembre 1986, n. 917, testo unico delle imposte sui redditi (1).

(12) Per esempio: KÈ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per un asserito contarsto con l’art. 53 Cost. dell’art. 38 D_P_R. 29 settembre 1973 n. 597, applicabile all’Ilor in virtù del rinvio disposto dall’art. 6 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, che prevede per le unità immobiliari non locate l’assoggettabilità all’imposta locata sui redditi sia pure nella misura del 20% della rendita catastale, in quanto tale disposizione sì colloca non irrazionalmente all’intemo di un sistema, quale quello dei redditi fondiari, impostato sulla imposizione dei redditi ordinariamente ritraibilì secondo il sistema degli estimi catastali, piuttosto, c prima ancora, che di quelli effettivamente ritratti o prodotti» (Comm. centrale imposte, sez_ XXII, 8 ottobre 1987 n_ 7088, in Comm. trib. centr 1987, I, 531).

GIURISPRUDENZA DI MERITO

521

(13) «In caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno del proprietario usurpato è in re ìp.sa, raccordandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento ben può essere determinata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, facendo riferimento al cosiddetto danno figurativo, e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite usurpato. Il fatto, poi, che il valore locativo sia ìndivdiuato in una somma detenninata non fa perdere all’obbligazione risarcitoria la sua natura dì debito di valore, come tale suscettibile di rivalutazione monetaria, in quanto tnirando alla reiterazione del patrimonio del danneggiato, la somma di denaro stabilita non rappresenta l’oggetto dell’obbligazione risarcitoiia, ma solo un elemento di commisurazione del danno» (Cass. civ., sez. Ii. 7 giugno 2001, n. 7692, in Ciu.st. civ. Mais. 2001, 1146; conforme, Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2001, n. 13630, in Giaa.st. civ. Mass. 2001, 1850)

 

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