Se i vincoli urbanistici decadono vi è obbligo di procedere ad una nuova pianificazione
Consiglio di Stato, Sezione IV, 21 febbraio 2005, n. 585 – Se i vincoli urbanistici decadono vi è obbligo di procedere ad una nuova pianificazione
1. La decadenza dei vincoli urbanistici che comportano l’inedificabilità assoluta, ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 19 novembre 1968, n. 1167, decorrente dall’approvazione del piano regolatore generale, obbliga il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell’area rimasta priva di disciplina urbanistica
2. Tale obbligo può essere assolto sia attraverso una variante specifica, sia attraverso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all’amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse
3. Da tale obbligo il Comune non è esonerato per l’applicabilità, nei casi in questione, della disciplina dettata dall’articolo 4, ultimo comma, lett. a) e b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, la quale ha invero natura provvisoria, non può sostituirsi alla disciplina che la legge affida alle responsabili valutazioni del Comune
4. In tali casi, il proprietario dell’area interessata può anche promuovere gli interventi sostitutivi dell’ente sovracomunale competente in materia urbanistica (cioè la Regione o l’ente delegato).
F A T T O
Con ricorso ritualmente notificato e depositato il sig. Bianchi Pierluigi impugnava dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, chiedendone l’annullamento, a) l’atto sindacale 15 settembre 1994, n. 18793, con cui si comunicava al ricorrente, in relazione all’obbligo di completamento del piano regolatore generale di Cortina d’Ampezzo, sul terreno del medesimo, che era stata avviata la revisione dello strumento urbanistico mediante gli incarichi ai progettisti e b) l’atto del Dirigente della Provincia di Belluno 27 settembre 1994, n. 52726, di diniego dell’esercizio dei poteri sostitutivi, richiesti dal ricorrente contro l’inerzia comunale a completare il P.R.G., e contestualmente chiedeva l’accertamento dell’obbligo del Comune di Cortina d’Ampezzo di procedere al completamento dello strumento urbanistico generale, riconoscendo al terreno del ricorrente la vocazione edificatoria.
Il ricorrente, proprietario di un terreno in Cortina d’Ampezzo destinato dal piano regolatore generale ad infrastrutture pubbliche, essendo decaduta tale destinazione per l’inutile decorso del quinquennio, ex art. 2 della legge n. 1187/68, aveva chiesto al Comune di completare lo strumento urbanistico riconoscendo la vocazione edificatoria del terreno.
Non avendo ricevuto risposta, aveva impugnato il silenzio-rifiuto con ricorso straordinario al Capo dello Stato, accolto con D.P.R. in data 6 maggio 1992.
Aveva notificato, quindi, la decisione di annullamento al Comune per l’esecuzione, senza esito, e aveva chiesto allora l’intervento sostitutivo della Provincia di Belluno. A ciò erano seguiti, però, gli atti impugnati, del Comune e della Provincia, ritenuti dal ricorrente sostanzialmente reiettivi della propria pretesa.
A sostegno del ricorso venivano dedotti i seguenti motivi:
1) Violazione di legge, in quanto il ricorrente avrebbe diritto a che lo strumento urbanistico comunale sia completato, relativamente al proprio terreno, che avrebbe vocazione edificatoria, essendo circondato da edifici. Il semplice avvio delle procedure di revisione del P.R.G. non costituirebbe adempimento alla decisione favorevole del Capo dello Stato, che ha riconosciuto tale diritto.
2) Violazione di legge (artt. 69 e 100 della L.R.V. n. 61 del 1985) ed eccesso di potere per difetto di motivazione, essendo stata elusa la decisione favorevole sul ricorso straordinario proposto dal ricorrente.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione provinciale di Belluno, che controdeduceva puntualmente, chiedendo che il ricorso venisse rigettato.
L’Amministrazione comunale resistente, costituitasi anch’essa in giudizio, pregiudizialmente eccepiva che il ricorrente non avrebbe un interesse attuale in quanto l’area di cui è proprietario era stata riclassificata dal P.R.G. approvato nel 1991, dopo la proposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato, come zona a servizi, e tale classifica sarebbe ancora vigente. Inoltre, il ricorso sarebbe inammissibile perché diretto contro un atto privo di carattere provvedimentale e, comunque, il vero contraddittore sarebbe soltanto la Provincia, non il Comune, essendo stato avviato il procedimento sostitutivo. Nel merito, l’Amministrazione comunale controdeduceva, concludendo per la reiezione del ricorso.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 1364/95, meglio indicata in epigrafe, disattese le eccezioni pregiudiziali di rito, sollevate dal Comune di Cortina d’Ampezzo, nel merito accoglieva il ricorso, ritenendo fondata la pretesa del ricorrente all’immediato completamento dello strumento urbanistico comunale, ma non anche quella a che l’area di sua proprietà dovesse ricevere una destinazione edificatoria, e condannava le Amministrazioni resistenti al pagamento delle spese e competenze del giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Cortina d’Ampezzo, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone l’annullamento, sotto due articolati ordini di motivi, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Si è costituito il sig. Bianchi, che ha depositato memoria, chiedendo il rigetto dell’appello, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Nell’imminenza dell’udienza di discussione, sia il Comune di Cortina che il sig. Bianchi hanno depositato una memoria, con la quale hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già assunte.
Alla pubblica udienza del 24 giugno 2004 la causa è stata spedita in decisione.
D I R I T T O
Il Comune di Cortina d’Ampezzo impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, n. 1364/95, meglio indicata in epigrafe, che ha accolto il ricorso proposto dal sig. Bianchi Pierluigi diretto contro l’atto della Provincia di Belluno, con cui è stato negato l’esercizio dei poteri urbanistici
sostitutivi, e contro il presupposto atto del Comune di Cortina d’Ampezzo, con cui è stato comunicato l’avvio della procedura di revisione del P.R.G. comunale.
Occorre riassumere brevemente i termini della vicenda in esame.
Il ricorrente aveva chiesto al Comune, senza esito, di reintegrare la disciplina urbanistica sul proprio terreno che ne era rimasto privo, a seguito della decadenza del vincolo pubblicistico ivi imposto dal P.R.G., per decorso del quinquennio ex art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187. Contro il silenzio-rifiuto aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, ottenendo nel 1992 una favorevole pronuncia di annullamento del silenzio-rifiuto stesso.
Perdurando l’inerzia del Comune a dettare nuove previsioni urbanistiche, anche dopo l’anzidetta pronuncia del Capo dello Stato, il ricorrente promuoveva l’intervento sostitutivo della Provincia di Belluno, previsto e disciplinato dall’art. 69 della L.R.V. n. 61 del 1985, ma la Provincia riteneva sufficientemente satisfattivo della pretesa del ricorrente l’avvio della procedura di revisione dell’intero P.R.G. mediante gli incarichi ai progettisti.
L’appello del Comune di Cortina d’Ampezzo ripropone, anzitutto, le eccezioni pregiudiziali avanzate in primo grado e disattese con la sentenza gravata.
E’ stato eccepito che l’atto comunale impugnato sarebbe privo di carattere provvedimentale e che, quindi, l’impugnativa sarebbe inammissibile sia per tale motivo, sia perché diretta contro un ente privo di legittimazione passiva.
Al riguardo i primi giudici hanno correttamente rilevato che l’impugnato atto del Comune in data 15 settembre 1994, diretto alla Provincia e, per conoscenza, al ricorrente, con cui si comunicava l’avvenuto inizio del procedimento di revisione dell’intero P.R.G., costituisce, in realtà, il presupposto del diniego di intervento sostitutivo della Provincia stessa, anch’esso impugnato. Esso, pertanto, è un atto presupposto concorrente nella costituzione degli effetti lesivi, prodotti dal consequenziale diniego della Provincia. Il che ad un tempo giustifica la sua impugnazione ed anche l’evocazione in giudizio del Comune di Cortina, che ha concorso in tal modo alla determinazione finale.
E’ stato anche eccepito che il ricorso in primo grado non sarebbe assistito da un interesse attuale, in quanto l’area è stata riclassificata dal P.R.G., successivamente approvato nel 1991, cioè dopo la proposizione del ricorso straordinario al Capo dello. Stato, come zona a servizi, e che tale classificazione urbanistica sarebbe ancora vigente, cioè non decaduta per decorso del termine quinquennale.
Occorre, al riguardo, anzitutto premettere che la dichiarazione di improcedibilità del ricorso originario per sopravvenuta carenza di interesse consegue non soltanto al verificarsi di una situazione in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, ma anche tale da rendere del tutto certa e definitiva l’inutilità della sentenza, circostanza questa che va accertata con il massimo rigore onde evitare che tale declaratoria si trasformi in un sostanziale diniego di giustizia (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2000, n. 442; Cons. St., Sez. V, 29 gennaio 1999, n. 83; da ult. Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 2004, n. 4803).
Il Tribunale, con riferimento alla fattispecie oggetto di giudizio, ha rilevato che costituisce fatto notorio che il Comune di Cortina d’ Ampezzo aveva adottato il P.R.G. nel 1979, ma che l’atto regionale di approvazione era stato annullato in sede giurisdizionale da questo Consiglio (Cons. St., Sez. V, decc. n. 247 e n. 348 del 22 maggio 1989) e che, poiché il giudicato di annullamento non aveva travolto la deliberazione comunale di adozione del P.R.G. del 1979, il Comune di Cortina aveva ripubblicato la vecchia delibera di adozione, che è stata nuovamente approvata dalla Regione.
Nel frattempo, però, come fondatamente rilevato dai primi giudici, con motivazione corretta ed immune da vizi logici o da errori di diritto, il piano ha prodotto i suoi effetti per oltre dieci anni, con previsioni urbanistiche annullate e riconfermate: da ciò si trae la conclusione che la pronuncia del Capo dello Stato, in ordine al dovere di conferire una nuova disciplina urbanistica ad un’area, che ne era rimasta priva in seguito alla decadenza del vincolo, non può ritenersi superata da uno strumento formalmente nuovo, ma sorretto da previsioni meramente riconfermative, che non possono avere l’effetto di restituire all’area, divenuta “zona bianca”, la destinazione vincolistica ormai decaduta. Altrimenti opinando, infatti, e, cioè, accogliendo la tesi prospettata dal Comune di Cortina, si arriverebbe alla conseguenza che il terreno del Bianchi avrebbe dovuto considerarsi vincolato per il decennio (e oltre) necessario all’approvazione finale del P.R.G. (delibera comunale di adozione e di apposizione del vincolo del 1979, mai annullata in sede giurisdizionale e delibera regionale di approvazione del 1991).
Da ciò il Tribunale ha, pertanto, giustamente tratto la conseguenza che permaneva l’interesse del ricorrente all’esecuzione della decisione favorevole del Capo dello Stato, disattendendo la relativa eccezione.
Quanto al merito, il T.A.R. ha premesso che la decadenza di un vincolo preordinato all’espropriazione determina una situazione equiparabile all’assenza per l’area di una destinazione, urbanistica, con conseguente obbligo per l’amministrazione di provvedere ad attribuirle una nuova destinazione e che tale in effetti era la statuizione contenuta nel decreto decisorio di cui il ricorrente pretendeva l’esecuzione.
E, del resto, come ripetutamente affermato da questa Sezione, la decadenza dei vincoli urbanistici che comportano l’inedificabilità assoluta, ovvero che privano il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall’inutile decorso del termine quinquennale di cui all’articolo 2, comma 1, della legge 19 novembre 1968, n. 1167, decorrente dall’approvazione del piano regolatore generale, obbliga il Comune a procedere alla nuova pianificazione dell’area rimasta priva di disciplina urbanistica (Cons. St., Ad. Plen. 2 aprile 1984, n. 7; Sez. V, 21 maggio 1999, n. 593; 2 dicembre 1998, n. 1721; Sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415; 5 maggio 1997, n. 479 e, da ult., nn. 2015 e 4812 del 2003).
Tale obbligo può essere assolto sia attraverso una variante specifica, sia attraverso una variante generale, che sono gli unici strumenti che consentono all’amministrazione comunale di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse (Cons. St., Sez. IV, 12 giugno 1995 n. 439).
Da tale obbligo il Comune non è esonerato per l’applicabilità, nei casi in questione, della disciplina dettata dall’articolo 4, ultimo comma, lett. a) e b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10, la quale ha invero natura provvisoria, non può sostituirsi alla disciplina che la legge affida alle responsabili valutazioni del Comune (Cass., Sez. I, 6 novembre 1998, n. 1158; Cons. St., Sez. IV, 6 giugno 1997, n. 621 e Sez. V, 14 novembre 1996, n. 1638).
In tali casi, il proprietario dell’area interessata può anche promuovere gli interventi sostitutivi dell’ente sovracomunale competente in materia urbanistica (cioè la Regione o l’ente delegato, che nella specie è la Provincia di Belluno), come, appunto, è stato fatto nella specie dal ricorrente, odierno appellato.
L’Amministrazione provinciale, investita dei poteri sostitutivi, ha, tuttavia, ritenuto che l’avvio delle procedure per la revisione dell’intero strumento urbanistico comunale costituisca adempimento all’anzidetto obbligo.
Ma, come fondatamente osservato dal giudice di prime cure, il semplice avvio del procedimento di revisione del P.R.G. comunale non costituisce adempimento all’obbligo, dichiarato nella decisione sul ricorso straordinario summenzionata, di conferire la riqualificazione urbanistica alla zona rimasta priva di specifica disciplina, a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante (ex art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187). L’adempimento esatto e non elusivo a tale obbligo poteva, infatti, essere dato soltanto dallo specifico ed immediato completamento del P.R.G. per quella particolare zona, senza attendere che fossero portate a compimento le ulteriori e dilatorie procedure che comportavano la riconsiderazione dell’intero piano urbanistico.
Con ciò, come pure rilevato dai primi giudici, non si vuol dire che la revisione integrale del P.R.G. non sia legittima ed opportuna e che, in generale, tali procedure non siano rispondenti al pubblico interesse, anzi è vero il contrario; ciò nonostante, esse tuttavia non costituivano nella specie un corretto e tempestivo adempimento al particolare obbligo in questione.
Il ricorso contro gli atti negativi impugnati, come ritenuto dal T.A.R., era, quindi, fondato, sotto entrambi i profili dedotti, e cioè, in sostanza, per l’inadempimento alla decisione favorevole al ricorrente sul ricorso straordinario che egli aveva a suo tempo proposto.
Tuttavia, come pure rilevato dal Tribunale, se la pretesa del ricorrente all’immediato completamento dello strumento urbanistico comunale era fondata, ciò non comportava, altresì, che l’area di sua proprietà dovesse necessariamente ricevere una destinazione urbanistica edificatoria, in quanto la destinazione da imprimere ad un’area, rimasta priva di destinazione urbanistica per la caducazione del vincolo, è riconducibile ad un potere discrezionale, che deve essere esercitato mediante congrua ed adeguata motivazione (la scelta motivata della nuova destinazione deve essere effettuata discrezionalmente ed essere fatta ricadere su quella che, allo stato, sia ritenuta più conforme al pubblico interesse: cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 226; id. 15 febbraio 1993, n. 167), ma che non è diverso da quello che si esprime normalmente nella formazione e nella modificazione degli strumenti urbanistici generali.
Per le considerazioni che precedono l’appello in esame deve, dunque, essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Le spese e le competenze del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello n. 2045/96, meglio descritto in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma la impugnata sentenza.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese, competenze ed onorari in favore dell’appellato vittorioso, che si liquidano in complessive €. 3.000,00 (tremila euro).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso a Roma addì 24 giugno 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:
Stenio RICCIO Presidente
Anna LEONI Consigliere
Bruno MOLLICA Consigliere
Nicola RUSSO Consigliere rel. est.
Salvatore CACACE Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Nicola Russo Stenio Riccio