TRIBUTI
DISTINZIONE TRA DIRITTI EDIFICATORI
Nel contesto giuridico italiano, i diritti edificatori possono essere classificati in due categorie principali: i diritti perequativi e i diritti compensativi. I primi sono quelli riconosciuti dal piano urbanistico generale del Comune, conferendo al suolo una potenzialità edificatoria che lo qualifica come “edificabile” ai fini fiscali. I secondi sono attribuiti in seguito all’imposizione di un vincolo di inedificabilità su un terreno. In questo caso, il proprietario riceve un “ammontare volumetrico” che può essere utilizzato per edificare su un’altra area, la quale deve però essere identificata. Questo aspetto è cruciale: fino a quando non viene individuato il nuovo terreno su cui esercitare il diritto edificatorio, non esiste un presupposto impositivo per l’Ici o l’Imu. Di conseguenza, le aree originarie non possono essere considerate fabbricabili ai fini di dette imposte. Questo significa che, anche se l’indice di edificabilità del terreno è inferiore a quello massimo previsto, la sua qualità intrinseca rende l’area soggetta a tassazione. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21141 del 29.07.2024 ha ribadito che in tali casi si applicano le disposizioni di legge relative all’imposizione fiscale, come indicato nel d.lgs. n. 504/1992 e nella l. n. 160/2019, fornendo così un importante chiarimento sulla distinzione tra diritti edificatori perequativi e compensativi.
La controversia, oggetto della sentenza in commento, riguardava un Comune, che aveva emesso avvisi di accertamento per l’Imu su un’area che considerava edificabile. Il contribuente aveva contestato questa qualificazione, sostenendo che l’area fosse soggetta a diritti compensativi e quindi non tassabile. La Corte, accogliendo le argomentazioni del contribuente, ha stabilito che senza un’area specifica individuata per esercitare i diritti compensativi, non si può considerare l’area come tassabile.
La Corte ha inoltre sottolineato come la corretta valutazione dei diritti edificatori sia stata trascurata dai giudici di merito, che si sono invece concentrati su aspetti secondari, come le lacune nella documentazione dell’ente impositore.
LA RINUNCIA DEL BENEFICIARIO DEL TRUST È ESENTE DAL PAGAMENTO DELL’IMPOSTA
Con la risposta all’interpello n. 165 dell’1.8.2024, le Entrate hanno chiarito il trattamento fiscale relativo all’atto di rinuncia effettuato dai beneficiari di un trust regolato dalla legge di “Jersey (Jersey Trust Law 1984 e successive modificazioni), Isole del Canale”.
È infatti possibile che i beneficiari di un trust rinuncino ai diritti sul fondo loro attribuiti dall’atto istitutivo, con la conseguenza logica del “ritorno” di tali beni nel patrimonio del disponente. Nel caso specifico, il trust, istituito nel 2012, avrebbe dovuto cessare alla data della morte dell’ultimo disponente o al compimento del 25° anno di età del più giovane tra i beneficiari. Successivamente, tutte le parti del trust hanno concordato di porre anticipatamente fine allo stesso, con il consenso del trustee e del guardiano designato.
Nella risposta in esame, l’Agenzia delle entrate ha stabilito che l’atto di rinuncia, comportando la cessazione del trust con conseguente restituzione dei beni agli originali disponenti, non costituisce un trasferimento di ricchezza e, di conseguenza, non si applica l’imposta di donazione. Allo stesso modo, non sussiste il presupposto per l’applicazione dell’imposta sulle successioni, non essendoci alcun trasferimento mortis causa. La ratio della risposta dell’Agenzia è coerente con i numerosi orientamenti giurisprudenziali di merito e di legittimità, che individuano nel momento dell’effettiva distribuzione dei beni ai beneficiari l’istante effettivo di arricchimento e, quindi, il presupposto per l’applicazione delle imposte indirette. Ai fini dell’imposta di registro l’atto in questione rientra tra quelli da registrare in termine fisso, con l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata (art. 11 della Tariffa, Parte Prima, del d.p.r. n. 131/1986). L’Agenzia infine ritiene pure applicabili le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (art. 4 della Tariffa allegata al d.lgs. n. 347/1990 e art. 10, comma 2, del medesimo d.lgs.).