RAPPORTI TRA DICHIARAZIONE ICI ED INDENNITA' DI ESPROPRIAZIONE

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE – Sez. I; 3 luglio 2002, n. 845. Pres. Massetani -Est. De Simone- Vignali (avv.ti Scriperlliti e Bellandi) c. Comune di Sesto Fiorentino (avv. Pecchioli). – CORTE DI APPELLO DI FIRENZE – Sez. I; 3 luglio 2002, n. 845. Pres. Massetani -Est. De Simone- Vignali (avv.ti Scriperlliti e Bellandi) c. Comune di Sesto Fiorentino (avv. Pecchioli).

 

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE
Sez. I; 3 luglio 2002, n. 845. Pres. Massetani -Est. De Simone- Vignali (avv.ti Scripelliti e Bellandi) c. Comune di Sesto Fiorentino (avv. Pecchioli).
Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) – Indennità – Calcolo – Area fabbricabile – Dichiarazione Ici infedele – Procedura di rettificazione intrapresa dall’avente causa del dichiarante phma del provvedimento di esproprio – Emissione degli atti di rettifica da parte del comune – Commisurazione dell’indennità ai valore indicato nella dichiarazione di rettifica – Sussìste.
La dichiarazione ai fini fiseali non è dichiarazione di volontà ma di scienza e, come tale, revocabile e modificabile ad opera dell’interessato, fino a che non divenga definitivo il debito di imposta. Conseguentemente, nel caso in cui l’avente causa dell’autore della dichiarazione Ici inesatta ponga in essere, prima del provvedimento di esproprio, la procedura per la rettifica di quella dichiarazione, ottenendo dal comune la emissione di atti di rettifica, l’indennità di espropri azione deve essere commisurata al valore indicato nella dichiarazione di rettifica. (D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16) (1).
(1) Interessante pronuncia che-,a quanto consta-non trova riscontro in altri precedenti editi:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con atto di citazione, notificato il 5 novembre 1999, Renza Vignali conveniva, avanti questa Corte, il Comune di Sesto Fiorentino. Esponeva l’attrice di essere divenuta proprietaria, per successione testamentaria di Lilia Maggi deceduta il 31 luglio 1998, di terreni posti in Comune di Sesto Fiorentino; all’apertura della successione, su quei terreni era già iniziata procedura espropriativa, per effetto di approvazione di una variante al Piano per l’Edilizia Economica e Popolare che, in data 21 dicembre 1992, includeva quelle aree nel P.E.E.P – di Sesto Fiorentino. In data 26 aprile 1996, il sindaco aveva autorizzato l’occupazione d’urgenza di mq. 100 della particella 455, quindi, con due ordinanze rispettivamente del 29 maggio e 29 ottobre 1997, lo stesso sindaco aveva fissato
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GIUKISPRUDENZA DI MERITO
1’indennità provvisoria di esproprio per quella porzione di mq. 100 e della residua parte non sottoposta ad occupazione d’urgenza in lire 3.903.900 e lire 134.869.380, da maggiorarsi del 40°1o in caso di cessione bonaria. Con ordinanza notificata il 14 gennaio 19991c indennità in questione erano rideterminate riducendole a complessive lire 5.517.241, in quanto nella dichiarazione ici per l’anno 1993, presentata da Lilia Maggi, ai terreni in questione, pur indicati come aree edificabili, era stato attribuito il valore complessivo di lire 3.540.000, senza cioè tenere conto della loro inclusione nel P.E.E.P. di Sesto Fiorentino; mentre l’imposta pagata per l’anno 1996, pari a lire 32.000, corrispondeva appunto al valore di lire 5.517.241.
Infine, in data 5 ottobre 1999, il comune aveva pronunziato l’esproprio del terreno, dichiarando la definitività dell’indennità come da ultimo determinata. A questa determinazione la Vignali non aveva prestato il proprio assenso ed aveva fatto seguire una procedura di correzione della dichiarazione lei, inoltrando in data 4 marzo 1999 una rettifica ed integrazione del precedente atto; aveva inoltre presentato, nel luglio 1999, la dichiarazione lei per l’anno 1998, indicando il diverso valore che era stato accertato. Si opponeva dunque alla stima dell’indennità di esproprio che era stata effettuata e chiedeva che detta indennità fosse liquidata avendo riferimento al valore venale del bene. Si costituiva il comune, eccependo la competenza di questa Corte (in quanto la controversia non verterebbe sulla opposizione alla indennità di espropriazione ma sull’applicabilità dell’art. 76 D.L.vo 504/1992) e, nel merito, resistendo alla domanda.
MOTIVI DELLA DECISIONE’. – Per ciò che attiene alla competenza di questa Corte, contestata dal comune sul rilievo che la presente controversia avrebbe ad oggetto non l’opposizione alla determinazione all’indennità di esproprio ma l’applicabilità dell’art. 16 D.L.vo 504/1992, onde ne discenderebbe la competenza del Tribunale di Firenze, è sufficiente rilevare che la nonna appena citata detta un criterio destinato a limitare o comunque a commisurare l’indennità di esproprio, la cui determinazione per il caso concreto, operata dall’Amministrazione, costituisce l’oggetto della domanda. Ciò di cui si controverte non è dunque la generica applicabilità della norma contenuta nella disciplina tributaria (che, alla stregua dell’art. 15 del D.I,.vo 504/1992 apparterrebbe alla giurisdizione delle commissioni tributarie e non a quella dell’A.G.O.) ma la determinazione dell’indennità di espropriazione, quale risultato del procedimento di opposizione alla stima che era stata effettuata anche con riauardo all’art. 16 del D.L.vo 504/1992 c che l’art. 19 della legge 865/1971 riserva alla cognizione della corte d’appello. Nel merito, l’art. 16 del D.L.vo 504/ 1992, istitutivo dell’imposta comunale sugli immobili, prevede che «l. [n caso di espropriazione di area fabbricabile l’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’applicazione dell’imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all’indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti.
2. In caso di espropriazione per pubblica utilità, oltre all’indennità, è dovuta una eventuale maggiorazione pari alla differenza tra l’importo dell’imposta pagata dall’espropriato o dal suo dante causa per il medesimo bene negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo dell’impo
sta effettuato sulla base della indennità. La maggiorazione, unitamente agli interessi legali sulla stessa calcolati, è a carico dell’espropriante».
L’interpretazione che di questa norma dà l’Amministrazione conduce al risultato che per un bene, quale quello di cui si tratta e per il quale lo stesso ente espropriante aveva previsto un’indennità di lire 138.777.280 (maggiorabile del 40%. in caso di cessione volontaria), i diritti del propriètario dovrebbero essere liquidati con l’importo di lire 5.517.247. La stessa, semplice citazione dei dati numerici induce ad osservare che, in un caso come quello di specie, il generale principio dell’indennizzabilità del sacrificio della proprietà privata, sancito dall’art. 42 Cost., viene a subire un vulnus, riducendosi l’indennizzo ad un’entità eccessivamente modesta, in relazione non soltanto al valore venale del bene ma alla stessa indennità di espropriazione prevista dall’art. 5 bis della legge 359/1992. Una conseguenza così severa, a carico dell’erede dell’autore della dichiarazione infedele, non può configurarsi (e giustificarsi) come sanzione amnrinistrativa per la violazione di norme tributarie. Si tratta, in quest’ultimo caso, di sanzioni, disciplinate dal D.L.vo 472/ 1997 e caratterizzate, in primo luogo (art. 2), dall’essere specificamente individuate nella sanzione pecuniaria (quale non può essere la conseguenza in esame) e nelle sanzioni accessorie (indicate all’art. 21 e costituite da una serie di capitis rlemimctio), che possono essere comminate soltanto nei casi espressamente previsti e nei confronti delle persone fisiche che hanno commesso 1a violazione; l’irrogazione delle sanzioni di cui si tratta non può prescindere dall’accertamento della colpevolezza del contravventore (art. 5) c non può riguardare ali eredi (art. 8). Escluso dunque che la nonna dell’art. 16 del D.L.vo 504/1992 contenga una sanzione dì natura tributaria, rimane da considerarla (come in effetti è stata ritenuta da Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2000, n. 5283) come diretta ad introdurre un meccanismo correttivo ed eventualmente riduttivo dell’indennità di espropriazione, che resta comunque determinata alla sola stregua dell’art. 5 his della legge 359/1992; non così nella nuova normativa sulle espropriazioni, che verrà introdotta dal D.P.R. 327/ 2001, i1 cui art. 37 recepisce al n. 7 una norma analoga a quella dcll’art. 16 oggi in esame. II metodo prescelto non costituisce, per il nostro ordinamento, una novità in assoluto, se già l’art. 18 della legge 841/1950 prevedeva che «l’indennità per i terreni espropriati è pari al valore definitivo accertato ai fini dell’imposta straordinaria progressiva sul patrimonio, istituita con decreto legislativo 29 marzo 1947, n. 143». Qui tuttavia il riferimento non già al valore accertato ma a quello dichiarato dal contribuente possiede, come ha avuto occasione di osservare Corte cost. 351/2000, l’ulteriore finalità di dissuasione dell’elusione fiscale ed è diretto ad incentivare fedeli autodichiarazioni di valore delle aree fabbricabili ai fini lei. Ma se si tratta di norma diretta ad incidere sulla determinazione dell’indennità di esproprio, essa (ovvero, l’interpretazione di essa) non può prescindere dall’osservanza dei principi, che hanno condotto alla definizione concreta del criterio indennitario in astratto previsto dall’art. 42 Cost. e che sono stati elaborati, nella vigenza dell’attuale Carta, ad opera della Corte costituzionale. Questa ha più volte affermato che l’indennizzo dovuto all’espropriato, «pur non rappresentando l’integrale risarcimento del pregiudizio subito dal proprietario ma il massimo della riparazione che la pubblica amministrazione può garantire all’interesse privato» (sent. 61/1957), «perché l’indennità di espropriazione possa ritenersi conforme al precetto costituzionale, è necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica, perché solo in tal modo l’indennità può costituire un serio ristoro all’interessato» (Corte cost. nn. 33/1958; 41/1959; 67/1959: 5/1960; 91/1963; 5/1980 e 223/1983), che essa risponda al «parametro di adeguatezza dell’art. 42, comma 3, della Costituzione» (Corte cost. 283/1993) e che la stessa «non può assumere le connotazioni di un compenso, oltre che ridotto rispetto al valore reale del bene, del tutto irrisorio e simbolico» (Corte cost. 269/1995). Nel caso di cui si tratta, al contrario, ciò che al privato competerebbe (nella prospettazione fattarie dal Comune di Sesto Fiorentino) è di entità così esigua da far pensare, più che ad una procedura ablativa, ad una confisca. La normativa fiscale prevede, in molteplici occasioni, ipotesi in cui al contribuente è consentito di rimediare, all’originaria dichiarazione (ovvero all’omissione della dichiarazione) attenuando od evitando che da quell’originario comportamento scorretto promanino conseguenze sfavorevoli (oppure edulcorando la portata di queste). Basti pensare, nell’ambito della stessa disciplina delle sanzioni di cui al D.L.vo 472/1997 sopra citato, al ravvedimento, di cui all’art. 13, oppure al procedimento previsto dall’art. 36 ter, n. 4, del D.P.R. 600/1973 (come sostituito dall’art. 13 del D.L.vo 9 luglio 1997, n. 241) laddove è prevista la partecipazione del contribuente alla procedura di rettifica del reddito inizialmente dichiarato; ma va soprat•tutto ricordata la normativa introdotta dalla legge 413/1991 e le procedure ivi previste, in materia di imposte dirette e di imposte indirette, rispettivamente agli artt. 32 e 49-53, per la tardiva rettificazione ed integrazione delle dichiarazioni originarie, con effetto sanante delle conseguenze altrimenti negative per il contribuente. Né deve dimenticarsi che lo stesso ordinamento fiscale prevede l’intervento degli uffici per la correzione degli errori materiali, commessi dai contribuenti; “così è espressamente l’art. 36 bis, n. 2, lett. j) del D.P.R. 600/1973 e nella stessa direzione pare porsi la norma, dettata proprio in materia di lei, di cui all’art. 59, comma 1, lett. L, del D.L.vo 446/1997 e che, disciplinando il potere regolamentare dei comuni, ha previsto che l’ente locale possa limitare l’attività dei contribuenti privati alla semplice dichiarazione degli acquisti effettuati, demandando invece al potere pubblico la funzione di accertamento dei valori e di controllo; in questo sistema, il Ministero delle finanze ha scorto (esplicitando il concetto con la circolare 31 dicembre 1998, n. 296/E) il venir meno dell’operatività dell’art. 16 di cui si parla.
Tutto ciò è usualmente ritenuto conseguenza dei principio che la dichiarazione ai fini fiscali non è dichiarazione di volontà ma di scienza e, come tale, revocabile e modificabile ad opera dell’interessato. La dichiarazione del contribuente diviene irretrattabile, ovvero diviene definitivo il debito d’imposta allorché sono ormai decorsi i termini entro i quali l’ente impositore può effettuare un accertamento in rettifica ovvero quando, esercitato che sia detto potere, la controversia tributaria eventualmente instaurata sia stata definita ovvero la parte abbia prestato acquiescenza all’accertamento; e, nel caso concreto, nessuna di queste ipotesi si è verificata.
Non differente principio pare affermato, del resto, da Corte cost. laddove, per rispondere all’eccezione che l’art. 16 del D.L.vo 504/1992 consentirebbe un trattamento migliore per coloro che non abbiano presentato alcuna denunzia ai fini lei rispetto a coloro che abbiano dichiarato un va
lore inferiore, afferma che «Le varie ipotesi di evasore totale o parziale formulate nelle ordinanze di rimessione sono tutte erronee nei presupposti: infatti, l’evasore totale non viene affatto avvantaggiato, in quanto è destinato a subire in ogni caso le sanzioni per la omessa dichiarazione, nonché l’imposizione per 1’Ici che aveva tentato di evadere; inoltre, l’erogazione dell’indennità di espropiiazione non può intervenire, se non dopo la verifica che non superi il tetto massimo ragguagliato a1 «valore» denunciato per 1′ Ici, e, quindi, solo dopo la presentazione della denuncia lei e la conseguente regolarizzazione della posizione tributaria, con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni. Il che presuppone in ogni caso che si tratti di area fabbricabile (tale al momento della dichiarazione) e che il soggetto espropriato, fosse, alla data di riferimento dell’indennità, tenuto all’Ici. L’evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato, potendo il comune – ove nei termini e sempre nel presupposto che 1’Ici sia dovuta – procedere ad accertamento una volta richiesto dei dati necessari ai fini del calcolo definitivo dell’indennità di esproprio», con questo evidentemente prevedendo che anche l’evasore totale debba (e possa) effettuare tardivamente eppure utilmente la propria dichiarazione. Il caso concreto, merita ricordarlo, è caratterizzato, ira l’altro, dalla circostanza che l’inclusione del terreno nell’area del P.E.E.P. è antecedente di un anno alla dichiarazione ai fini lei, onde è ben difficile ipotizzare una volontà dell’allora proprietaria, consapevole che il proprio bene diveniva oggetto di particolare attenzione ad opera del comune, dì eludere quella normativa fiscale, la cui verifica è demandata allo stesso ente. Ebbene, l’avente causa dall’autrice della precedente, inesatta dichiarazione, ha posto in essere, prima che intervenisse il provvedimento di esproprio (pronunziato il 6 ottobre 1999) la procedura per la rettifica di quella dichiarazione, ottenendo (con un ritardo che non è imputabile a lei ma al comune) 1’ernissione di atti di rettifica, recanti le date del 10 aprile 2001; 7 marzo 2001; 1 ottobre 2001 e riferiti rispettivamente alle imposte degli anni 1993, 1994, 1995 e 1996. L’art. 16 del D.L.vo 504/1992, in precedenza riportato per esteso, fa espresso riferimento all’«ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’applicazione dell’imposta»; qui, le ultime dichiarazioni che la Vignali ha presentato per i singoli anni che qui interessano, sono quelle che sono state appena sopra indicate ed al valore in esse affermato va commisurata, oltreché l’imposta (che il comune non ha mancato di percepire) l’indennità di espropriazione. Va, in conclusione, accolta l’opposizione e dichiarato che l’indennità di espropriazione, per le due distinte parti in cui lo stesso terreno è stato suddiviso in seguito alla diversa procedura seguita (occupazione d’urgenza per mq. 100, espropriazione non preceduta da occupazione per il rimanente) va corrunisurata al valore venale del bene (come ritenuto dallo stesso comune, in lire 130.000.000 al mq.). Come conseguenza di questa valutazione, l’indennità di espropriazione per l’area di 100 mq. sarà (conformemente a quanto in un primo ternpo offerto dallo stesso comune e non accettato dall’interessata) pari a lire 6.506.500, mentre per la rimanente superficie di mq. 3.355 mq. sarà di lire 224.782.300. Su questi importi, che il comune ha determinato facendo corretto governo della norma dell’art. 5 bis della legge 359/1992, dev’essere applicata la decurtazione del 40%, di cui alla stessa norma appena citata. Va infatti rilevato che, per entrambe le offerte che il comune aveva effettuato alla Maggi e che le erano pervenute rispettivamente in data 19 giugno e 10 novembre 1997 era previsto, per accettare (ottenendo la maggiorazione del 4Ocic dì quei valori) il termine di giorni 30; dopo quelle comunicazioni ed antecedentemente alla successiva determinazione del comune, notificata alla Vignali il 14 —ennaio 1999, di applicare (come s’è detto, erroneamente) la riduzione di cui all’art. 16 del D.L.vo 504/1992, nessun atto d’accettazione è stato tuttavia comunicato ad opera della parte interessata. Le due indennità d’esproprio sono dunque ridotte rispettivamente a lire 3.903.900 (€ 2 .016,20) e lire 134.869.380 (€ 69.654,22), somme da maggiorarsi di interessi legali dalla data della domanda (trattandosi di obbligazione di valuta, che ottiene liquidazione in esito al giudizio).
Correlativamente, per l’occupazione, protrattasi dal 26 aprile 1994 a15 ottobre 1999 dell’area di 100 mq., l’indennità, costituita dagli interessi legali sulla somma di lire 3.903.900 è pari a lire 1.512.895 (€ 781,35). L’obiettiva incertezza delle questioni. insieme al non accanimento delle difese del comune (che non è andato oltre la comparsa di costituzione) rendono palese l’opportunità di compensare le spese di lite come richiede l’equità (art. 92 c.p.c.). (Omis.ris).

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